21 ottobre 2019

Mary Lynn Bracht
Figlie del mare

Titolo originale White Chrysanthemum

Trama
Longanesi
pag. 370 | € 18,60

Corea, 1943. Per la sedicenne Hana sapere immergersi nelle acque del mare è un dono, un antico rito che si trasmette di madre in figlia. Nel buio profondo delle acque, è solo il battito del cuore che pulsa nelle orecchie a guidarla sino al fondale, in cerca di conchiglie e molluschi che Hana andrà a vendere al mercato insieme alle altre donne del villaggio. Donne fiere e indipendenti, dedite per tutta la vita a un'attività preclusa agli uomini. Nata e cresciuta sotto il dominio giapponese, Hana ha un'amatissima sorella minore, Emi, con cui presto condividerà il lavoro in mare. Ma i suoi sogni si infrangono il giorno in cui, per salvare la sorella da un destino atroce, Hana viene catturata dai soldati giapponesi e deportata in Manciuria, dove verrà imprigionata in una casa chiusa gestita dall'esercito. Ma una figlia del mare non si arrende, e anche se tutto sembra volerla ferire a morte, Hana sogna di tornare libera. Corea del Sud, 2011. Arrivata intorno agli ottant'anni, Emi non ha ancora trovato pace: il sacrificio della sorella è un peso sul cuore che l'ha accompagnata tutta la vita. I suoi figli vivono un'esistenza serena e, dopo tante sofferenze, il suo Paese è in pace. Ma lei non vuole e non può dimenticare... In Figlie del mare rivive un episodio che la Storia ha rimosso: una pagina terribile che si è consumata sulla pelle di intere generazioni di giovani donne coreane. E insieme vive la storia di due sorelle, il cui amore resiste e lotta nonostante gli orrori della guerra, la violenza degli uomini, il silenzio di oltre mezzo secolo finalmente rotto dal coraggio femminile.
Mentre correva nel buio, Hana  trattenne in mente l'immagine di Emiko, ma a volte il viso si trasformava e diventava quello delle altre sorelle che si era lasciata alle spalle. Pensò al loro orrore quando si sarebbero rese conto che era scomparsa, pensò all'orrore di Keiko, però continuò a correre finché i polmoni non le bruciarono e il petto non le fece male. E poi corse nonostante il dolore, come se fosse il tuffo più profondo della sua vita, come se dalle buie profondità dell'oceano stesse nuotando per risalire verso la luce.

Commento
Prima delle vacanze estive ho avuto un raptus di shopping compulsivo di libri, in parte soddisfatto online e in buona parte sfogato comprando i libri rimasti in negozio che sarebbero finiti nella resa pre-trasloco. Mi sono sentita un po' come una buona samaritana, ho comprato copie rovinate, copie singole, edizioni cartonate di titoli usciti in economica, insomma ho dato una casa a dei romanzi che sarebbero spariti nel dimenticatoio (o nel macero).
Uno dei romanzi che ho preso è stato Figlie del mare e per un minuto avevo anche pensato di spendere 5€ per l'edizione economica, invece delle 18 e passa di questa rilegata. L'ho curato da quando ci era arrivato in libreria e alla fine mi sono decisa e l'ho preso.
Ora, sono consapevole della motivazione che mi ha spinta a scegliere questo romanzo e non mi illudo di aver avuto un guizzo di interesse storico perché non sarei credibile. Ho letto Corea e già ero convinta, quindi non farò finta di avere una conoscenza storica tale da farmi dire 'ah ecco, finalmente un romanzo che tratta di questo argomento' perché non ce l'ho. Anzi, prima di prendere in mano questo romanzo non avevo mai nemmeno sentito parlare di questo episodio, ma forse è stata proprio la curiosità di scoprirne di più - anche se solo attraverso una storia inventata - a spingermi verso Figlie del Mare.
Naturalmente bisogna fare un piccolo warning. Per quanto sia una storia romanzata, l'argomento è di  una tale gravità da aver reso praticamente impossibile evitare di rendere alcune scene estremamente grafiche. E' da un lato impossibile, se si vuole trasmetterne il vero significato, ed è dall'altro ingiusto tentare di ammorbidire qualcosa di così orrendo e inumano. Quindi se avete una sensibilità che vi porta ad evitare argomenti legati alle violenze sessuali, alle violenze legate alla guerra, deportazioni, torture ecc, allora forse questo non è il romanzo per voi. Non è così crudo da leggere come si potrebbe immaginare, ma a tratti richiede una buona dose di resistenza perché, nonostante le scene lette siano inventate, sono quasi sicuramente storicamente accurate e proiettarle su una realtà lontana nel passato non è poi così impossibile.
Detto questo faccio un super riassunto sull'argomento. Durante la seconda guerra mondiale il Giappone rapiva - letteralmente - giovani donne (a volte bambine, a volte adulte) dalla Corea, dalla Cina, e da altri paesi vicini per deportarle al fronte come schiave sessuali per i soldati giapponesi. Hanno usato una definizione vagamente gentile - comfort women - per descrivere quello che queste donne erano, ma la verità è che erano schiave, che erano costrette a prostituirsi, venivano stuprate da un soldato dietro l'altro come se fossero state solo dei sacchi di carne, non esseri umani, e ovviamente la maggior parte di loro non solo non tornò a casa, ma morì tra atroci sofferenze fisiche e mentali.
L'argomento è stato causa di tensioni diplomatiche tra Giappone e Corea e da quanto ho capito a tutt'oggi il Giappone non ha ancora fatto delle scuse ufficiali. Giusto per dire, il Giappone è un paese bellissimo ma non è esente dall'aver perpetrato violenze inaudite, quindi non idealizziamolo troppo.
L'autrice racconta la storia di una ragazzina, Hana, che vive con la sua famiglia sull'isola di Jeju. Hana ha appena iniziato a seguire le orme della madre, una haenyeo (categoria esclusivamente femminile di pescatrici che si immergono in apnea per raccogliere abaloni e frutti di mare), e da quando è nata il suo paese è sempre stato occupato dai giapponesi. Di solito la sua vita prosegue come se niente fosse, raramente i soldati si fanno vedere lungo le coste di Jeju, ma il senso di pericolo non abbandona la popolazione, tanto che i genitori non lasciano mai da sole le proprie figlie sapendo del rischio di vederle sparire. Un giorno Hana si sta immergendo con la madre, mentre la sorellina Emi rimane sulla battigia a custodire il pescato, quando Hana vede in lontananza un soldato giapponese camminare verso la spiaggia, proprio verso Emi. In preda al panico, convinta che il soldato vedrà la sorellina, Hana esce dall'acqua e cerca di distrarre il soldato in modo che non si accorga della bambina. Per Hana questo è l'inizio della fine, il soldato è il caporale Morimoto che, eccitato dal carattere forte della ragazzina, deciderà di portarla via come schiava personale.
Dal momento in cui i soldati portano via Hana inizia un racconto che pone il lettore di fronte alla crudeltà dei giapponesi, senza ingigantire le scene, senza esagerare con il lessico, semplicemente descrivendo senza scuse quello che le ragazze dovevano subire. L'umiliazione, la paura, l'annullamento della loro umanità, le violenze, l'autrice non risparmia nulla ma non vuole nemmeno far soffrire inutilmente il lettore. Più che un desiderio di shoccare, c'è il desiderio di far comprendere la gravità dell'ingiustizia a fronte della continua indifferenza del governo giapponese.
Parallela alla storia di Hana ambientata negli anni '40 abbiamo quella di Emi nel 2011, quando ormai la donna è anziana e alla fine della sua vita e deve fare i conti con i sensi di colpa nei confronti della sorella. Man mano che la storia di Hana progredisce evolve anche quella di Emi e i caratteri delle due protagoniste diventano sempre più marcati. Hana è un personaggio forte, nonostante sopporti dei traumi continui non perde la sua forza, non perde mai la speranza di poter scappare, la sua è una personalità che conforta il lettore, perché rimane combattiva e non permette a niente e a nessuno di eliminare la sua identità. Emi, invece, all'inizio sembra essere la parte debole della storia, in completa negazione sulla sorte della sorella, nasconde il suo passato ai figli e rifiuta quasi di accettarlo; però dopo che la sua salute crolla Emi comincia un lento percorso di apertura e di accettazione anche verso se stessa, e attraverso i suoi figli filtra il senso di colpa, analizzandolo da lontano, sezionandolo fino a trovare il vero nocciolo: ritrovare la sorella.
La vera bellezza del romanzo non è nella storia, ma nel messaggio: non dimenticare, condividere un episodio della storia passato tristemente inosservato, sensibilizzare le persone, e non lasciare mai impunito un crimine, né permettere che queste persone facciano finta di niente.
L'autrice è stata molto brava a non sbilanciarsi troppo, a prendere le difese di una parte o cedere all'accusa sottile per l'altra, invece ha impregnato la sua narrazione con la tristezza assoluta che questa storia ha lasciato nei sopravvissuti ma allo stesso tempo ha lasciato aperto uno spiraglio verso un finale, in un certo senso, positivo. Hana, nonostante le sofferenze, riuscirà ad avere la sua libertà e Emi riuscirà a chiudere il suo cerchio di vita dando l'addio finale al ricordo di sua sorella.
Sono contenta di essermi buttata su un genere di narrativa che di solito non considero, e soprattutto sono contenta di aver aggiunto un piccolo tassello alla mia piccola conoscenza storica. Non fai male aprire gli occhi sui segreti del passato, ti fa vedere le cose con una nuova prospettiva.

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