2 settembre 2019

Alice Basso
Un caso speciale per la ghostwriter

Serie Vani 5

Trama
Garzanti
pag. 384 | € 17,90
Per Vani le parole sono importanti. Nel modo in cui una persona le sceglie o le usa, Vani sa leggere abitudini, indole, manie. E sa imitarlo. Infatti Vani è una ghostwriter: riempie le pagine bianche di scrittori di ogni genere con storie, articoli, saggi che sembrino scaturiti dalla loro penna. Una capacità innata che le ha permesso di affermarsi nel mondo dell’editoria, non senza un debito di gratitudine nei confronti dell’uomo che, per primo, ha intuito la sua bravura: Enrico Fuschi, il suo capo. Non sempre i rapporti tra i due sono stati idilliaci, ma ora Vani, anche se non vorrebbe ammetterlo, è preoccupata per lui. Da quando si è lasciato sfuggire un progetto importantissimo non si è più fatto vivo: non risponde al telefono, non si presenta agli appuntamenti, nessuno sa dove sia. Enrico è sparito. Vani sa che può chiedere l’aiuto di una sola persona: il commissario Berganza. Dopo tante indagini condotte fianco a fianco, Vani deve ammettere di sentirsi sempre più legata all’uomo che l’ha scelta come collaboratrice della polizia per il suo intuito infallibile. Insieme si mettono sulle tracce di Enrico. Tracce che li porteranno fino a Londra, tra le pagine senza tempo di Lewis Carroll e Arthur Conan Doyle. Passo dopo passo, i due scoprono che Enrico nasconde segreti che mai avrebbero immaginato e, soprattutto, che ha bisogno del loro aiuto. E non solo lui. Vani ha di fronte a sé un ultimo caso da risolvere e fra le mani, dalle unghie rigorosamente smaltate di viola, le vite di tutte le persone cui ha imparato a volere bene.
Perché la verità è che ogni storia, la più modesta come la più avventurosa, la più divertente come la più intensa, la più realistica come la più folle, è destinata a farsi poltiglia, e concime, e terra. Le storie, bisogna prepararsi a salutarle.
Commento
Ah, quindi questa era la fine?
Se la Basso aveva pianificato tutto fin dall'inizio per - citazione libera - prepararci a salutare Sarca allora mi inchino alla sua mente malefica. Ma se invece non è così io un po' ci rimango di merda, scusate il francesismo. Perché, di solito, quando hai in mano l'ultimo libro di una serie che ti piace lo ricopri di una quantità orrenda di aspettative e ti immagini mentre giri l'ultima pagina felice, appagata e pure con una lacrimuccia a coronare l'esperienza.
Io no, questo quinto titolo della serie mi è passato nel cervello senza colpo ferire, senza picchi di estrema felicità o effetti collaterali tipo crisi d'astinenza. Nope, ho fatto spallucce e sono andata dritta verso la libreria per tirare fuori un nuovo romanzo da leggere.
Ok, non che il quarto romanzo mi avesse fatta impazzire come i primi due, però c'è da dire che le parti più importanti di una serie sono l'inizio e la fine, e se ti perdi un po' nel mezzo va bene lo stesso. Qui, ecco, no. Il finale è talmente sotto tono, talmente monotono che non pare nemmeno essere la chiusura finale della serie.
Metto le mani avanti dicendo che Sarca è sempre Sarca, il personaggio di per sé non cambia, nemmeno lo stile della Basso ha avuto un tracollo perché gronda sempre sarcasmo e ironia, e tutto il romanzo è pieno zeppo di metafore che in pochi potrebbero pensare. Il problema non è tanto la base, ma nemmeno lo stile, il problema per me è la storia raccontata. La trama, il giallo, il mistero, insomma.
Quasi tutto il romanzo ruota attorno alla sparizione di Enrico, il capo di Sarca. Uscito dal suo appartamento dopo aver ricevuto notifica di licenziamento e mai più visto da nessuno.
Enrico, sempre presentato come soggetto fastidioso che suscitava in Sarca rabbia mista a desolazione per la sua natura mercenaria, diventa il fulcro dell'ipotetico mistero.
E' scappato? E' finito in un dirupo? E' stato rapito dagli alieni? E' morto?
Queste sono le domande che i personaggi si pongono e in particolare Sarca, nonostante senta che questa preoccupazione sia contro la sua natura, è quella che si cruccia di più perché il licenziamento di Enrico è stato indirettamente colpa sua.
Al di là del poco interesse che nutro per questo personaggio, il mio grosso problema con il soggetto è la mancanza di indagine, di giallo, l'assenza di una base di mistero che ha lasciato il passo a una sorta di chi l'ha visto amatoriale che di appassionante aveva veramente poco. La mente di Sarca e le abilità del Commissario qui sono sprecate, poco sfruttate e rimangono sempre nell'ambito del personale, cosa che di per sé non sarebbe un grosso problema se la sparizione di Fuschi lasciasse un brivido sulla sua scia. Il disinteresse per Enrico unita alla noia della risoluzione della sparizione mi hanno lasciata totalmente indifferente a quello che stavo leggendo. La presenza del punto di vista di un Enrico adolescente ha messo in luce alcuni aspetti della sua personalità e alcune motivazioni che si ricollegano tutti alla fine, dentro l'ormai classico ragionamento/risoluzione finale partorito da Vani.
Personalmente, questo voler mettere Enrico sotto una luce più umana non è stato un vero errore, perché funziona bene come trampolino per gli scontri verbali tra lui e Vani, manca però di una vena gialla e rimane - ancora una volta - limitato tra i confini della disavventura.
Non ho accusato come altri, invece, la svolta più emotiva di Vani e la prevedibile chiusura del suo percorso umano. Per quanto la Vani chiusa e sarcastica fosse un personaggio nuovo nel panorama letterario italiano e per quanto io l'abbia adorata in modo totale e assoluto, persino lei aveva bisogno di vivere dei cambiamenti importanti.
Prima di tutto il cambiamento più grosso che segue pari passo il caso della scomparsa di Enrico: la scoperta di provare dei sentimenti. Ora, al di là del banale sentimento romantico/amoroso nei confronti del Commissario, c'è ovviamente l'attaccamento a Morgana, quello riscoperto per la sorella, l'amicizia fragile ma cameratesca con il suo ex, e infine quello strano sentimento che si trova suo malgrado a provare per Enrico. Insomma, Vani è un essere umano e anche se per quattro romanzi ha finto bene, pure lei prova dei sentimenti. Il suo processo di accettazione è un percorso dissestato ma ha dei compagni che l'appoggiano e l'aiutano ad adattarsi; certo fa strano leggeri di Vani che si comporta in un certo modo ma non è niente di insormontabile. Basta accettarlo.
Quindi il finale non mi è dispiaciuto, mi è sembrato sufficientemente emotivo senza superare il limite del coerente, e ho apprezzato che la Basso non si sia dilungata sul momento più imbarazzante per Vani, ma ci è passata vicino per farcelo vedere e poi ha chiuso i battenti per farle mantenere un briciolo di privacy.
Purtroppo, come ho già detto, il caso di Enrico non mi è piaciuto molto, l'avrei visto bene come sotto trama, come caso secondario affiancato a qualcosa di più grosso, invece ho dovuto accettare che l'ultimo caso di Vani Sarca non è stato niente di esplosivo o di mastodontico. Non che sia un crimine, per carità, o che tutto il romanzo sia da buttare - anzi-, solo che non è un finale memorabile.
Tutto qua.
Mi tocca salutare Vani ma tutto sommato non mi dispiace farlo senza tragedie, suppongo sia il lato positivo dell'aver dato tre come voto.

Nessun commento: