25 ottobre 2021

Thomas Rydhal, A. J. Kazinski
Morte di una sirena

Titolo originale Mordet på en havfrue

Trama
Neri Pozza
pag. 448 | € 18,00
Copenaghen, 1834. Anna lavora in una zona della città dove le botti d’acquavite prendono fuoco per strada, i panettieri vendono pretzel infilati sui bastoni, i marinai ballano tra di loro e i mendicanti e i ladri si aggirano senza sosta. Per provvedere alla Piccola Marie, la figlia di sei anni, riceve fino a tarda ora uomini ubriachi ed eccitati che non le chiedono nemmeno il nome, le strappano i vestiti di dosso e la prendono. Una sera viene condotta a forza in una casa elegante e, davanti a una grande porta spalancata sul mare, qualcuno pone fine alla sua giovane vita. Il suo corpo viene ritrovato nell’immondezzaio della città, il canale dove si raccolgono tutti i rifiuti di Copenaghen. Un corpo bellissimo con gli occhi chiusi, ma con i capelli che, come quelli di una sirena, scintillano di conchiglie. «L’uomo dei ritagli» l’assassino non può essere che lui. Molly, la sorella minore di Anna, ne è sicura: soltanto un dissoluto può recarsi nell’appartamento di una prostituta e starsene tutto il tempo su una panca a contemplarla e a realizzare ritagli di carta che le somigliano. Ne è convinto anche il questore: il responsabile dell’infelice decesso non può essere che lo scrittorucolo con la passione per carta e forbici, l’uomo che è stato visto uscire per ultimo dall’appartamento della vittima. «L’uomo dei ritagli» si chiama Hans Christian Andersen ed è o, meglio, vorrebbe essere uno scrittore; tutti i tentativi per diventarlo sono però miseramente falliti, stroncati senza esitazione dai critici. Non fosse per la protezione dell’influente signor Collin, che lo ha spedito in collegio, ha pagato la retta e lo ha introdotto nel bel mondo, sarebbe immediatamente incriminato di omicidio e condotto nelle patrie galere per essere poi punito con tutto il peso della giustizia. Il questore lo vedrebbe volentieri decapitato e sulla ruota, ma, dato il peso dei Collin in città e persino sulla corona, deve scacciare per il momento la visione e offrire ad Andersen un’ultima chance: tre giorni, soltanto tre giorni per trovare altri colpevoli. Se non salteranno fuori, Hans Christian Andersen si trasformerà da scrittore povero in canna in assassino.
Hans Christian aspetta fuori. Certe cose sono più facili per una donna, per esempio attaccare discorso con marinai ubriachi in una bettola senza buscarle. Altre sono più facili per un uomo. Solo che Hans Christian non ha mai avuto l'impressione che ce ne fosse una. Né che lui appartenesse al tipo di uomini ai quali vengono tributati gloria ed encomi e una statua nella piazza della città natia. La sua mente è troppo dispersiva  e la sua curiosità troppo confusionaria.
Commento
Sempre in linea con le letture del periodo, e penultimo libro della pila del mini haul della bibliteca, Morte di una sirena era uno dei volumi che più desideravo leggere perché lo avevo tenuto d'occhio fin dalla sua uscita. Mi era sembrato un romanzo molto accattivante non solo per la trama ma soprattutto per il protagonista perché di Andersen io non so praticamente niente, e vederlo sotto una luce più oscura e drammatica mi attirava in modo particolare.
Purtroppo non ho avuto una relazione appassionante con questo romanzo e lo dico con grande dispiacere, perché c'è un qualcosa nella trama che mi ha lasciata un filo indifferente e che non mi ha coinvolta come immaginavo.
La storia nasce e finisce con un mood ben preciso e non se ne priva mai, nemmeno nei piccolissimi momenti di gioia della storia. Ambientato nella Copenaghen del 1834, una città sporca, degradata, un inferno in terra, il romanzo segue la disastrosa vicenda di Andersen prendendo spunto da una pausa inspiegabile nei diari tenuti dall'autore. In questo buco gli autori ci infilano una tragedia che mette in luce un personaggio molto lontano dall'immagine un po' comune e banale che ci si è fatta di lui. Andersen esce subito dalla pagina come un giovane allampanato, brutto, trasandato, che anela disperatamente alla fama e alla gloria senza possedere vere qualità che lo possano innalzare dal suo anonimato. Oltre a non possedere particolari capacità narrative, ad essere un attore e un artista mediocre, Andersen rifugge l'unica professione che a detta di tutti gli viene naturale: scrivere racconti per bambini. Hans Christian - viene continuamente chiamato così nel romanzo - vuole essere un grande scrittore, vuole che il suo nome venga conosciuto da tutti e vuole che la sua città gli riconosca il suo incredibile talento; talento che, per inciso, fatica ad emergere.
Il problema di Andersen è essere un sognatore che sogna in piccolo e che rimane schiacciato dalla sua insicurezza e si sente perennemente in soggezione di fronte ai 'grandi' della società che lo trattano come un caso di carità, ogni sua azione pesa sui suoi benefattori e sulle sue esili spalle con il risultato che non ne esce mai vittorioso e sempre con quell'aria da vittima incompresa che, spesso, urta i nervi del lettore.
L'episodio del romanzo vuole essere il punto più basso nella vita di Andersen e sicuramente riesce nel suo intento. Durante una seduta di 'arte' da una prostituta di fiducia, Hans ritaglia una bambola di carta con le fattezze della donna che viene ripescata il giorno dopo morta e con evidenti segni di tortura. La sorella della prostituta, che aveva visto Andersen uscire per ultimo, lo accusa di essere l'assassino e Hans si ritrova ad essere sommariamente arrestato senza la benché minima indagine e senza prove schiaccianti. Buttato in cella, evitato dai suoi nobili protettori, schernito dalla folla, Hans urla a gran voce la sua innocenza dal buio tunnel della disperazione, nel quale la sua mente si è persa rendendolo incapace di usare la logica per districarsi da una situazione quasi predefinita. Della sua innocenza non si interessa nessuno, tanto meno la polizia che è già contenta di aver potuto accusare qualcuno, ma Hans ha la fortuna sfacciata di ricevere l'intercessione di un suo mecenate che gli regala tre giorni di tempo per trovare il vero assassino. Nel panico totale, con quella ingenuità fastidiosa che lo rende tanto detestato, Andersen si rivolge a Molly, la donna che lo ha accusato e la convince della sua innocenza. Molly, un esemplare perfetto di disperata in un mare di disperati, brucia della sacra fiamma della giustizia, l'unico pensiero puro che le è rimasto, così si affianca al poveretto per trovare questo assassino che, nel frattempo, pare abbia tagliuzzato un'altra povera ragazza.
La natura macabra delle torture ha una motivazione molto particolare e - lo dico - molto attuale e fa affiorare dalle pagine il punto di vista dell'assassino che si dichiara fin da subito e non si nasconde nei meandri oscuri della storia. La nostra Madam è un personaggio convinto di poter trascendere le regole e i limiti dell'umanità per creare un essere perfetto - da qui gli sferruzzamenti sui corpi - ma la motivazione viene svelata poco alla volta fino a raggiungere il culmine finale nel quale si svela in tutta la sua mostruosità una creatura folle, spietata e completamente accecata da una passione morbosa e malsana per uno degli esponenti della casa reale.
In realtà l'idea di base, anche se sviluppata in modo un po' strano e troppo alla luce per essere un giallo con un serial killer, a me è sembrata estremamente vicina alle questioni sociali attuali. Al di là del fatto che in questo caso il killer rappresenta la minoranza di chi non si riconosce nel corpo nel quale è nato, il concetto di base viene ripulito dallo schifo degli assassini proprio da Andersen che, nella sua mente un po' allucinata, individua la ragione più pura dietro le azioni di questa persona. Il desiderio di essere se stessi, felici e amati accumuna Hans con l'assassino anche se - ovviamente - espressi in modi differenti, seppur fallimentari.
A caso chiuso, superato il trauma, ci si aspetta dalla storia un finale che liberi Molly e Hans dalla colpa e li innalzi dalla loro realtà fatta di indigenza e insicurezza, invece gli autori pensano bene di non inquinare l'aria malsana della loro Copenaghen con il lieto fine, ma di dare un ultimo colpo durissimo al nostro protagonista, colpo che viene fatto intendere sarà poi la causa scatenante della sua carriera nelle favole per bambini.
Dicevo che il romanzo non mi è piaciuto più di tanto, ebbene l'ho trovato un po' piatto. Superata la parte iniziale molto interessante, la storia rimane sempre sullo stesso tono e i due protagonisti non escono dallo schema dei loro personaggi, sono quello che sono dall'inizio alla fine. Stesso discorso per la questione degli omicidi, oltre ai due già presentati non scorre altro sangue quasi che da un giallo si voglia passare ad un mystery più leggero e orientato alle disavventure dei protagonisti. Di indagini non c'è niente che mi abbia soddisfatta, le intuizioni di Andersen sembrano più che altro frutto della fortuna e vengono sparse in un tentativo di logica che dovrebbe indurre il lettore a seguire il filo immaginario di Hans, o dovrei forse dire i suoi voli pindarici. Di solito non mi dispiace che il giallo in sé sia meno difficile da seguire, ma considerando l'ambientazione così cruda e spietata sarebbe stato più coerente una brutalità spinta e costante invece di questa figura che svolazza quasi fosse un fantasma o una produzione dell'immaginazione di Andersen.
Sullo stile non ho nulla da dire, il romanzo si legge tranquillamente anche se il ritmo è lento e spesso il protagonista stesso ti fa venire voglia di infilare la mano tra le pagine e prenderlo a ceffoni, ma che ci posso fare, non si inizia un libro avendo la certezza che sia la lettura perfetta e per me in questo periodo è più importante sperimentare che fossilizzarmi su quello che già conosco.

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