13 gennaio 2020

Jón Kalman Stefánsson
Paradiso e Inferno

Trilogia Heaven and Hell 1
Titolo originale Himnaríkí og helvíti

Trama
Iperborea
pag. 256 | € 17,00

È l’Islanda, dove le forze primordiali della natura rendono i destini immutabili nel tempo, il luogo di questo racconto di gente di mare persa nell’asprezza dei giorni e delle notti, di un Ragazzo segnato dalla solitudine, e del suo grande amico Bárður, pescatore di merluzzo per necessità, ma in realtà poeta, sognatore, innamorato dei libri e delle parole, le uniche in grado di “consolarci e asciugare le nostre lacrime, sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore”. Parole che possono anche essere fatali: come per Bárður, rapito da quel verso del Paradiso perduto di Milton che ha voluto rileggere prima di imbarcarsi, al punto da dimenticare a terra la cerata, correndo il rischio di trovare una morte invisibile e silenziosa come quella dei pesci. Storia di tragedia e di ritorno alla vita all’inseguimento di un destino diverso, Paradiso e inferno è un’avventura iniziatica, un viaggio metafisico, la ricerca di un senso e di uno scopo alto nella vita, ma soprattutto un inno al potere salvifico delle parole. Con una scrittura magnetica che decanta l’essenziale, Jón Kalman Stefánsson racconta con infinita tenerezza un’amicizia, la storia di due ragazzi che si innalza in una sfera magica sopra il frastuono del mondo, per ricordare che la vita umana è sempre una gara contro il buio dell’universo, in cui “non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, ne abbiamo bisogno per vivere”.
Ci sono parole che hanno il potere di cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime. Parole che sono palle di fucile, come altre sono note di violino. Ci sono parole che possono sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore, e poi si possono anche inviare in aiuto come squadre di soccorso quando i giorni sono avversi e noi forse non siamo né vivi né morti. Ma le parole da sole non bastano e finiamo a perderci nelle lande desolate della vita se non abbiamo nient'altro che una penna cui aggrapparci.

Commento
Ci sono due possibilità. La prima, che la mia mente sia così poco profonda da non riuscire ad andare oltre; la seconda, che abbia fatto un enorme errore tattico sulle tempistiche di lettura. In entrambi i casi ho terminato Paradiso e Inferno e mi sono chiesta sono stupida? mi è sfuggito qualcosa? con tanto di senso di inadeguatezza che mi ha portata a scrivere la recensione con la coda tra le gambe.
Stefansson non è un autore che avrei scelto di mia spontanea volontà. Per anni l'ho venduto, per anni ho visto i suoi romanzi entrare e uscire dal negozio e per anni ho sentito tesserne le lodi. Ho ceduto d'impulso e mi sono lasciata influenzare - e anche tanto - dall'opinione di chi lo adora con una devozione viscerale. Ho letto il primo titolo della trilogia e probabilmente sarà anche l'ultimo, non perché non mi sia piaciuto ma perché ho avuto qualche difficoltà ad entrare in sintonia con lo stile e con il tipo di storia raccontata dall'autore.
Paradiso e Inferno è una storia di pescatori, di mare, di uomo vs natura ambientato in un tempo non precisato - uno dei saggi finali ipotizza fine '800 - in un villaggio islandese. La storia si apre sui due personaggi principali, Bárður e il ragazzo - mai chiamato per nome - che si stanno recando verso la costa per partecipare ad un'uscita in mare per pescare merluzzi. I due sono molto uniti e il ragazzo vede in Bárður non solo un amico ma un mentore, un esempio da seguire per ampliare la sua mente, la sua cultura e le sue esperienze. I due hanno interessi e abitudini in comune, tanto che ogni loro progetto coinvolge entrambi: la pesca, il lavoro all'emporio, l'amore per i libri. I due a volte sembrano avere una relazione padre e figlio, a volte sembrano migliori amici ma sempre si intuisce uno sbilanciamento nell'intensità dei sentimenti. Bárður ha un'aria distante, come se fosse presente con il corpo ma la testa fosse da un'altra parte, e ha un modo di fare che lascia intendere che ha una vita sua, quasi segreta, che ha persone, desideri e progetti che non includono nessuno se non se stesso.
Al contrario di Bárður il ragazzo è giovane, i suoi genitori e sua sorella sono morti, ha perso i contatti con il fratello, gli rimane l'amico Bárður. Il ragazzo è semplice, non ha grandi desideri e si lascia ispirare da ciò che ha attorno e, ovviamente, essendo più giovane vive le sue esperienze con il sacro terrore dell'ignoto. Quando Bárður e il ragazzo finalmente escono con il gruppo, la situazione diventa quasi subito difficile. La grandiosità degli elementi, gli uomini piccoli e inermi di fronte alla natura, il mare visto come un'entità capace di inghiottire gli uomini e tenerli dentro di sé, tutto viene ampliato durante l'esperienza della pesca, persino l'importanza di una svista che poteva sembrare sciocca. Prima dell'uscita in barca Bárður, preso dalla meraviglia per i versi del Paradiso Perduto, torna alla baracca per rileggere dei passi che vuole imprimersi nella memoria, in modo da poterli rigirare nella testa durante le ore di attesa sulla barca, ma questo suo amore gli fa dimenticare la cerata, uno degli oggetti che un pescatore non dovrebbe mai lasciare indietro. Di questa sua dimenticanza si accorge solo quando all'orizzonte arriva un fronte di maltempo che fa alzare le onde e porta con sé neve e ghiaccio. Bárður, inevitabilmente, paga il suo amore per la poesia con la vita e muore congelato.
La morte dell'amico porta il ragazzo ad un punto di rottura: la tristezza, l'impotenza, la solitudine gli fanno mettere in discussione la sua stessa esistenza. Che senso ha vivere, se si è soli, se non si hanno progetti, prospettive, se ogni cosa che si fa finisce per essere inutile di fronte alla morte?
Il ragazzo torna dove Bárður viveva per portare a termine un ultimo compito prima di lasciare che il mare lo prenda nelle sue profondità: restituire la copia de Il Paradiso Perduto. Quando arriva alla sua meta, il ragazzo si trova immerso in una nuova realtà fatta di persone e stimoli diversi ma lui vede solo la sua inadeguatezza, la sua inutilità e la paura di esporsi ad una versione umana delle intemperie che si sono portate via il suo amico. Il ragazzo si trova tra due forze: il desiderio di farla finita e il senso di colpa derivante dalla voglia di farsi tentare dalla vita, e - sorprendentemente - alla fine vince la vita.
Se prendo in considerazione solo la trama non ho avuto proprio nessun problema: un po' mi aspettavo che ci fosse poco movimento e più introspezione ed ero preparata ad una semplicità di contenuti. L'essenziale dei personaggi e della loro vita si riflette in una trama essenziale dove si gioca tutto su pochi ma importanti quesiti esistenziali. Certo, se fossi un'appassionata di storie di mare questo romanzo sarebbe stato epico, un gioiello da conservare, purtroppo non provo grande passione per la pesca o per la vita di mare e quindi il contesto mi ha lasciata un poco indifferente.
Ho puntato tutte le mie aspettative sullo stile e in parte sono state soddisfatte. Stefansson è sicuramente un autore che ha una grandissima capacità narrativa, che sa descrivere delle scene privandole dei fronzoli e portandole nude e crude al lettore, ha eleganza lessicale senza essere barocco, ma soprattutto quello che mi ha colpita sono stati alcuni brani (vedi la citazione sopra) che avevano in sé un concetto, un pensiero che andavano al di là della storia. Il momento della trama portava ad un ragionamento e successivamente ad un pensiero che - per me - valeva tutta la lettura. Stefansson ha messo su pagina dei pensieri che spesso non si sanno esprimere a parole e lo fa con semplicità, a volte anche con un guizzo di parolacce, ma in un modo così chiaro che arriva dritto alla testa e poi al cuore. Il problema grosso che ho avuto con lo stile è che a volte, per fortuna non sempre, i periodi sono troppo - ma proprio - troppo lunghi e senza punteggiatura. Capita anche che i dialoghi non siano contraddistinti da punteggiatura ma siano inclusi nella narrazione, o che i cambi di punto di vista narrativo arrivino all'improvviso, ancora, senza punteggiatura a dividerli dal resto della frase. Ci ho messo un po' a farci l'abitudine, ma anche se poi ci sono riuscita - visto che spesso dovevo rileggere per avere la certezza di aver capito bene - alla fine ha continuato a darmi fastidio.
E' chiaro che questo è un problema mio, e che l'incompatibilità con lo stile di Stefansson è solamente parziale, però la difficoltà di stargli dietro unita ad una trama poco nelle mie corde ha sgonfiato l'entusiasmo che sentivo a inizio lettura.
Pensavo fosse amore, invece era un merluzzo.

Nessun commento: