23 settembre 2019

Shaun Bythell
Una vita da libraio

Titolo originale The Diary of a Bookseller

Trama
Einaudi | pag. 384 | € 19,00
Un paesino di provincia sulla costa scozzese e una deliziosa libreria dell'usato. Centomila volumi spalmati su oltre un chilometro e mezzo di scaffali, in un susseguirsi di stanze e stanze zeppe di erudizione, sogni e avventure. Un paradiso per gli amanti dei libri? Be', più o meno...Dal cliente che entra per complimentarsi dell'esposizione in vetrina, senza accorgersi che le pentole servono a raccogliere la perdita d'acqua dal tetto, alla vecchietta che chiama periodicamente chiedendo i titoli più assurdi, alle mille, tenere vicende di quanti decidono di disfarsi dei libri di una vita. The Book Shop, la libreria che Shaun Bythell contro ogni buonsenso ha deciso di prendere in gestione, è diventata un crocevia di storie e il cuore di Wigtown, villaggio scozzese di poche anime. Con puntuta ironia, Shaun racconta i battibecchi quotidiani con la sua unica impiegata perennemente in tuta da sci, e le battaglie, tutte perse, contro Amazon. La sua è l'esistenza dolce e amara di un libraio che non intende mollare. Con l'anticipo dell'edizione italiana, Shaun sta finalmente ricostruendo il tetto della sua libreria.
Molti dei nostri acquirenti appartenevano a quella categoria di persone che, pur essendo capaci di rendersi insopportabili ovunque, riescono a farlo particolarmente bene in una libreria. (George Orwell)

Commento
Mai come in questi giorni (mesi, anni) sento il peso di lavorare al pubblico. C'è gente che mi dice che il mio deve essere un lavoro bellissimo, visto che lavoro in una libreria, senza tenere conto che purtroppo non è il negozio a stabilire il livello dei clienti e più spesso di quanto si creda entrano dei citrulli totali.
Insomma, sì è un bel lavoro e sì lavorare al pubblico è estenuante, ma se i clienti almeno fossero persone dotate di logica e senso pratico che rispettano chi sta dietro al bancone e sgobba come un pazzo per portare a casa un incasso microscopico, allora ci sarebbe un senso. Ma spesso questo senso sfuma nel corso delle giornate lavorative finché una bella mattina, dopo l'ennesima richiesta stupida o l'ennesimo cliente che non riesce a distinguere l'ordine alfabetico dello scaffale semplicemente ti rendi conto che i libri e le librerie sono meravigliosi, ma non quando ci lavori dentro. Perché la gente è capace di farti odiare tutto, persino qualcosa che ami così visceralmente.
Il signor Bythell è uno di noi, con la differenza che la libreria dove lavora è sua e può permettersi di sfogare la sua frustrazione, frutto di anni di esperienza, scrivendoci sopra un diario che poi è diventato un libro e che, per quanto mi riguarda, è il grido di sofferenza di tutti i lavoratori del settore.
L'autore ha dato voce a moltissimi dei pensieri che passano nella testa di noi librai e ha messo nero su bianco la verità scomoda da non dire mai ad alta voce: molti clienti sono degli emeriti imbecilli che ti fanno perdere tempo o ti fanno odiare l'umanità; oltre a questo, dalle entrate del diario spunta fuori un'altra verità che nessuno conosce se non chi ci lavora, e cioè che il libro è un prodotto difficilissimo da vendere e che i guadagni sono frutto di rosicchiamenti continui. Forse sembrerà un'assurdità a chi compra libri, legge libri, recensisce libri, ma la percentuale di persone che per un libro vuole spendere una cifra ridicola pensando che il suo valore stia nella forma e non nel contenuto supera di gran lunga quella delle persone che spendono la cifra sulla copertina senza rompere troppo le palle.
Eppure, incredibilmente, nonostante la voglia di mandare a quel paese il cliente tipo, nonostante la frustrazione del costante confronto con Amazon (che sento persino io, che non ho attaccamento emotivo al mio luogo di lavoro), il fascino del libro e della libreria è qualcosa che non ti abbandona mai. Tra i tutti i lavori del mondo, il nostro non è il peggiore che ci sia e bisogna esserne felici e consapevoli. Solo che a volte vorresti veramente prendere a schiaffoni i clienti stupidi.
Dev'essere uno strano effetto psicologico, quello che si innesca quando un cliente si imbatte in un libro senza prezzo. Qualsiasi somma gli si dica, per quanto bassa, è comunque più alta di ciò che lui è disposto a pagare. Ho perso il conto degli spiritosoni che sono venuti a dirmi: "Su questo libro non c'è il prezzo: vuol dire che è gratis?" Non è stato divertente la prima volta, e dopo quattordici anni la battuta è completamente priva di smalto, se mai ne ha avuto.
Un vita da libraio racchiude tutto questo e, contemporaneamente, riesce ad essere anche uno spaccato autobiografico della vita di Shaun che intrattiene il lettore dall'inizio alla fine. A tratti non sembra nemmeno che sia autobiografico, la narrazione è talmente ben fatta che sembra essere un romanzo vero e proprio con tanti di personaggi secondari eccentrici, un gatto grasso che dorme tra gli scaffali e una serie di conoscenze che entrano ed escono dalla quotidianità di Shaun e che ristabiliscono l'equilibrio rotto solo dai clienti.
Si fa poca fatica ad entrare nella testa di Shaun e si fa altrettanta poca fatica ad uscirne a libro terminato, ed è questa per me la pecca più grossa del romanzo. Non ha una fine vera. Avendo scelto la struttura del diario ci si aspetta una sorta di evoluzione da un giorno all'altro, ci si aspetta un filo conduttore - seppur minimo - che colleghi i giorni e che porti ad una naturale chiusura. Purtroppo qua non c'è niente di tutto questo, il diario inizia in un giorno scelto quasi a caso e si chiude con un post scriptum che 'festeggia' i quindici anni del negozio, ma in realtà termina mesi prima ancora una volta senza un apparente criterio. E' come se qualcuno avesse iniziato il diario e poi lo avesse abbandonato senza motivo, lasciandoci un po' disorientati dalla fine improvvisa.
In effetti, verso la fine, mi chiedevo se e come la storia si sarebbe chiusa perché, nonostante il genere, da un libro ci si aspetta che abbia sempre una chiusura, ma qui non c'è. Non so è voluto, se è una scelta precisa che lascia aperta l'immagine della vita del libraio o se semplicemente l'autore abbia deciso di riprendere in mano un diario che ha trascurato aggiungendo un epilogo che racchiude in due pagine cos'è successo a chi. Non nego che l'ho trovato poco raffinato, si poteva fare un lavoro più coerente e meno brutale, ma alla fine poco importa credo, perché il punto di forza del romanzo non è tanto la trama quanto gli episodi singoli di vita reale (si suppone che lo sia, quanto meno).
Di sicuro si legge un romanzo come questo non tanto per la trama che racconta, ma per la sua semplicità e per la sua natura di diario senza capo né coda, lo si legge perché si è curiosi o perché si fa lo stesso lavoro e si vuole provare il brivido del proibito.
Shaun sei tutti noi, se dovessi mai passare dalle tue parti vengo a darti un abbraccio.

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