Serie The Wolf Gift Chronicles 1
Titolo originale The Wolf Gift
Trama
Longanesi pag. 442 | € 19,90 |
La villa è magnifica, a strapiombo Pacifico, circondata da sequoie secolari. Reuben, giovane giornalista incaricato di scrivere un articolo per la messa in vendita che ne decanti la meraviglia, ne è affascinato. Ma a colpirlo ancora di più è Marchent, la proprietaria, bella e misteriosa come la sua casa. Per lui è inevitabile subire il fascino di quella donna che lo guida tra le stanze splendidamente ammobiliate, raccontandogli del prozio scomparso nel nulla da vent'anni e solo ora dichiarato ufficialmente morto. La notte di passione tra i due sembra scritta nel destino, ma la brutale irruzione nella villa di due criminali pone fine al sogno prima ancora che inizi. Marchent soccombe sotto i colpi dei malviventi e Reuben sta per fare la stessa fine, quando viene salvato da qualcuno - qualcosa? - che uccide i suoi aguzzini e ferisce lui, lasciandolo agonizzante. Ricoverato in ospedale, si riprende in maniera sorprendente, in pochissimi giorni. Reuben sta bene, anzi benissimo, il suo corpo non è mai stato così forte, il suo udito così fine, il suo sguardo così acuto: un nuovo vigore sembra pervaderlo, una forza che si risveglia quando sente l'odore del male... Perché in quella notte maledetta Reuben ha ricevuto il dono del lupo. Ora possiede una doppia natura umana e ferina, e ne è perfettamente consapevole. Una realtà che solleva inquietanti interrogativi... Chi lo ha trasformato così? Qual è la sua vera natura? E soprattutto, esistono altri come lui nel mondo?
In tutta la sua vita la notte non gli era mai parsa più dolce, e gli piaceva illudersi di poter vivere così in eterno: autosufficiente, forte, mostruoso, impavido. Se era questo che il dono del lupo aveva in serbo per lui, forse lo avrebbe accettato.
Commento
C'è qualcosa di terribilmente sbagliato nel dare un voto così scandalosamente basso alla mia Annina, the Queen, però le cose stanno così. Ci ho pensato su, ho anche meditato sul perché sarebbe stato meglio essere di manica larga, ma alla fine non ce l'ho fatta.
La delusione è talmente forte che oltre il due e mezzo non posso andare.
Penultimo titolo della mia tbr di Gennaio/Febbraio, Il dono del lupo era anche l'ultimo romanzo di Anne Rice che dovevo ancora leggere e l'ho lasciato volutamente dopo Il Principe Lestat perché era una serie nuova, con un argomento totalmente nuovo per la Rice, un romanzo che avrebbe potuto scatenare in me la voglia irrefrenabile di abbuffarmi.
Invece no.
Normalmente, se si è abituati allo stile della Rice, si sa che gli inizi dei suoi romanzi sono lenti. Il crescendo della trama, la costruzione dei personaggi e delle vicende vengono prese con calma, una parola alla volta fino a che l'immagine finale che si crea nella nostra testa è fatta e finita, reale quanto può essere quella fornita da un romanzo. Anche in questo caso le cose vanno così, un po' per le lunghe, con questo ritmo da vacanza pigra, con questa cura maniacale per i dettagli, per gli aggettivi, per le descrizioni, eppure il crescendo è continuo finché raggiunge un certo livello e poi rimane uguale fino alla fine del romanzo.
Dal punto di vista stilistico non c'è niente che si possa dire di negativo, è tutto talmente ricco, opulento, preciso, evocativo, ma per quanto riguarda i contenuti non c'è descrizione che possa camuffare la sua banalità, nonostante la sua perfezione. C'è uno sbilanciamento assurdo tra la forma e il contenuto, manca l'equilibrio, manca la coerenza, manca - in parole povere - quello che la storia avrebbe dovuto raccontare, invece di lasciarsi andare a tranquille scene ripetute.
Reuben si muove al rallentatore e come lui tutti i personaggi senza eccezione alcuna. Solo la sua controparte lupesca riesce ad aumentare il ritmo della narrazione, a renderla più selvaggia e affascinante, ma anche qui la novità svanisce rapidamente e ancora una volta si torna alle descrizioni delle foglie, degli alberi, della caccia. Non voglio essere fraintesa, è tutto meravigliosamente scritto come solo la Rice sa fare, ma manca di carattere.
Ecco, l'ho detto. Reuben e la sua storia mancano di carattere e il problema è che tutta la questione del lupo viene presa come un'esperienza mistica, come un dono accolto con felicità, in comunione con la natura, come se fosse tutto bellissimo, magnifico, di una facilità disarmante. Manca la drammaticità, manca la fisicità di questo argomento, anche se la Rice si è concentrata benissimo sulla trasformazione non basta descrivere l'esperienza come lo scorrere orgasmico di sensazioni per dare una versione meno poetica e facile della cosa.
Sangue e violenza ci sono in abbondanza, ma sono avvolte in questa aurea di ricchezza, di opulenza, di ricchezza, che rende questo lupo uno snob fatto e finito, una figura fantastica che si muove isolato dal resto del mondo, forte di tutti i mezzi economici possibili per prosperare e aiutarlo nei suoi movimenti. I soldi, i soldi che girano in questo romanzo sono incalcolabili, e la ricchezza che sanguina dalle scene è sfacciata, totale, assurda, una condizione mitica dove chi vive in questa bolla può permettersi qualsiasi capriccio senza minimamente intaccare il suo patrimonio. Stiamo parlando di una ricchezza che scorre nel sangue stesso dei personaggi, del genere che ti rende la vita magnifica e priva di pensieri, quella che ti fa girare in Porsche e comprare manieri pieni zeppi di reperti archeologici senza spendere una goccia di sudore. Insomma, è una realtà che di reale ha ben poco e che si sposa benissimo con l'aria svampita del protagonista.
Altro aspetto negativo è la lunghezza del romanzo. Oltre 400 pagine racchiudono una storia che potrebbe tranquillamente occuparne la metà, se solo la Rice avesse dimezzato le descrizioni, le scene ripetute o quelle chiaramente fini a se stesse. Vogliamo parlare di tutte le descrizioni dei piatti, dei cibi e addirittura dei condimenti delle insalate? Ne accetto una, e solo perché è fatta ad arte, ma poi non vedo più l'utilità. Vogliamo parlare dell'inserimento assolutamente casuale di Laura, il personaggio che dovrebbe essere l'interesse amoroso di Reuben? Anonima, trasparente, non decisiva, sembra una mezza pazza che gode solo ad accoppiarsi con il lupo e discorre di filosofia e morale con Reuben come se la vita fosse fatta di elucubrazioni mentali e sesso al limite dell'assurdo. Non l'ho capita, non ho capito a cosa serviva, perché non dare più spazio a Felix o a Margon, invece, che sono due personaggi chiave in tutta questa storia? E perché riservare alla storia del Crisma solo poche pagine finali, come indizio di dove si dirigerà la serie?
Non mi spiego come sia stato possibile che la Rice scrivesse un romanzo così anormale. E' come un unione dei suoi primi libri con quelli più mistici degli ultimi anni, un miscuglio disomogeneo di sacro e profano, di violento e mistico. Eppure l'idea era perfetta, speravo in una nuova saga come quella delle Streghe Mayfair, invece mi sono ritrovata a lottare con me stessa per aprire il romanzo.
L'agonia di arrivare alla fine del libro non è mai sparita, anzi è solo aumentata man mano che passavano i giorni e le pagine sembravano non diminuire mai. Ho avuto persino un momento di crisi, pochi secondi, in cui ho pensato che se avessi mollato nessuno me ne avrebbe fatto una colpa ma poi mi sono impuntata per terminare un romanzo che, a modo suo, può essere considerato sensuale e appassionante, se solo appartenessi a quella categoria di lettori.
Insomma, per me è un no dato molto a malincuore, con un peso sul cuore e la depressione nell'anima, perché Annina è la mia Annina e per me nessuno la potrà mai superare, eppure a volte riesce a scendere dal suo piedistallo e farsi una passeggiata. Per me, l'importante è che poi ritorni, poi le concedo qualsiasi scappatella.
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