26 gennaio 2017

Maggie Stiefvater
La corsa delle onde

Titolo originale The Scorpio Races

Trama
Rizzoli | pag. 450 | € 16,50
Succede ogni autunno, sull’isola di Thisby. Dalle gelide acque dell’oceano si spingono a riva i cavalli d’acqua, creature affascinanti e crudeli che gli abitanti catturano per montarli nella Corsa dello Scorpione. Il vincitore guadagnerà fama e denaro, i meno fortunati incontreranno la morte. Ma qualcosa cambia quando alla gara si iscrive Kate Connolly, capelli rossi e tempra di ferro. Kate è determinata a correre con la sua cavalla Dove, sfidando usanze secolari che vogliono solo concorrenti maschi e nessun cavallo ordinario. Certo, non ha molte possibilità contro Sean Kendrick, diciannove anni, il favorito, esperto domatore di cavalli. Nessuno dei due è preparato a ciò che sta per succedere, perché quest’anno la Corsa dello Scorpione non sarà solo questione di gloria e denaro, ma di amore e destino.
Sean aspetta sulla battigia, guarda l'oceano, e c'è qualcosa di struggente e malinconico nella sua espressione, come se anche lui volesse tuffarsi nell'acqua e scomparire. Soltanto allora capisco che è questo il motivo per cui Norman Falk ha chiesto a Sean di farlo. Non solo perché era l'unico in grado di svolgere il rituale, ma perché Sean Kendrick, con quel suo struggimento, è la corsa, anche se non fosse mai esistita nessuna corsa. Un simbolo di quello che significano i cavalli per l'isola, un ponte fra ciò che siamo e ciò che tutti vorremmo da Thisby ma non riusciamo mai a raggiungere. Quando Sean sta lì fermo sulla riva, il viso rivolto al mare, non sembra più umano di un qualunque capall uisce, e questo mi turba.
Commento
Per cortesia Rizzoli editore, ve lo chiedo in ginocchio, pubblicate l'edizione economica di questo romanzo, o ristampate la rilegata perché è introvabile. Introvabile. Come fa chi, come me, lo ha adorato alla follia e lo vuole con sé nella sua libreria? Come? COME? Vi prego, fate qualcosa, il pensiero di non poterlo possedere mi sta facendo venire l'ansia, e io non gestisco bene l'ansia.
La serie Wolves of Mercy Falls mi era piaciuta tanto, forse troppo, e Raven Boys e i due romanzi sulle fate non mi avevano convinta del tutto, avevo bisogno di un'ulteriore conferma, di un altro romanzo che mi annodasse le viscere e che superasse almeno in qualche cosa la serie sui lupi.
La corsa delle onde è bellissimo, non credo ci sia bisogno di trovare un termine migliore di questo. E' bellissimo e basta. Sicuramente non è una storia per tutti i palati, può risultare troppo lento, troppo statico, troppo selvaggio, ma se ti tocca, se è nelle tue corde allora è un colpo di fulmine.
Mi ci è voluta qualche pagina per capire l'aria che tirava, per farmi un'idea di come sarebbe proseguito e quali fossero i punti fermi attorno ai quali ruotava la storia, ma una volta che mi sono creata un angolo nella narrazione, una volta che ho stabilito una connessione mi sono staccata dal romanzo solo alla fine e mi è rimasta una ferita aperta.
Ho pianto come una fontana nelle ultime pagine. Ho pianto come ho fatto solo con Deeper, anche se questa volta era per un diverso tipo di struggimento che si trasforma in sollievo giusto nelle ultime righe. Ho pianto perché la Stiefvater ti permette un groppo in gola ogni tanto, ma non ti lascia la possibilità di sfogarti: è un continuo aggiungere e caricare, una lenta costruzione di uno strapiombo da dove ti lanci alla fine del romanzo. Ed esplodi. Esplodi perché è finito, hai tenuto duro, non hai perso la dignità, hai trattenuto le lacrime e fino alla fine sei stata stoica.
Ma quando finisce e il sollievo ti travolge, piangi per tutte le 450 pagine di emozioni. Piangi perché, in un certo senso, vorresti poter puzzare anche tu di pesce, vorresti avere la sabbia in faccia, o farti congelare dagli spruzzi dell'oceano, mangiare un pan di Novembre e godere della glassa che cola, guardare i capail uisce e averne una paura folle, affrontare la morte come un evento eroico e finire la giornata tornando dal paesello infagottata nel tuo maglione di lana vecchio e brutto, perché tanto ci sei solo tu e la natura e a nessuno importa di come ti vesti.
Per me La corsa delle onde è stata un'esperienza sensoriale, oltre che letteraria. Avere una buona storia e degli ottimi personaggi è un punto di partenza, saper scrivere crea da sé il romanzo, ma saper rendere reale ogni singola cosa di questa storia, saper trasportare il lettore dal suo divano al luogo dov'è ambientato il romanzo e fargli vivere tutto, dalle emozioni alle privazioni, dalla fatica alla fame, dal freddo al sonno, permette all'autore di raggiungere un livello di bravura che pochi ormai sanno toccare. 
In un certo senso, La corsa delle onde è stata una sorta di prova del nove. In alcuni romanzi la Stiefvater mi ha scavato nel cuore, in altri mi ha lasciata indifferente, ma qui ha solo confermato ciò che sospettavo da ormai qualche tempo: questa donna è brava. Non solo ha un fiuto particolare per scovare le leggende più strane, ma ha anche la pazienza di costruire una storia un tassello alla volta, prendendosi tutto il tempo che le serve per creare dei personaggi che, a seconda di come sono fatti, a volte si aprono del tutto al lettore, a volte neanche a morire. Ma più di tutto la Stiefvater, per me, eccelle in due cose: nel creare personaggi maschili magnifici e nel descrivere il paesaggio, lo sfondo, la natura dei suoi romanzi.
Se nella vostra vita vi siete trovati su una scogliera con l'oceano che ti urla nelle orecchie, ogni angolo dell'isola di Thisby vi sarà familiare ma, se non siete mai stati di fronte alla potenza del vento dell'oceano ci vorrà pochissimo per sentirlo sulla lingua e avere il sale appiccicato sulla pelle.
La Stiefvater sa fare questo: sa usare delle semplici parole per rendere reale un luogo che neanche esiste, sa farti vedere e sentire una natura che per molti passa solo in TV, sa trasformare quello che per molti autori è solo uno sfondo in un protagonista a tutti gli effetti. Thisby, l'oceano, l'acqua, le scogliere, le spiagge, il porto, le barche, i cavalli, le pecore, l'erba, il fango, la pioggia, il sale, le nuvole, l'umidità, tutto ha un ruolo, tutto trova una ragione per essere sulle pagine. Perché i cavalli d'acqua, i capaill uisce sono il nucleo della storia ma sono anche inscindibili dal luogo da cui provengono e sarebbe stato impossibile rendere la loro indomabilità senza dare il giusto spazio all'oceano. Questi cavalli mostruosi che fanno a pezzi i cavalieri, che popolano gli incubi e ti fanno sparire il bestiame sono stranamente vividi, bucano le pagine allo stesso modo dei personaggi umani: senza di loro non solo la storia non esisterebbe, ma anche Sean non avrebbe lo stesso fascino ruvido e salmastro.
Sean Kendrick, l'uomo che sussurrava ai capaill uisce, l'unico che li ama e li rispetta, l'unico che li vede per quello che sono e non come un animale da domare per vincere una corsa.
Sean è per metà umano e per metà creatura dell'oceano. Fin da piccolo è stato a stretto contatto con l'acqua e con i cavalli d'acqua e ha sviluppato una particolare conoscenza di questi animali leggendari, fino ad avere come favorito il rosso sangue Corr che, anni prima, ha ucciso suo padre durante la corsa. Sean è silenzioso ma intenso, è selvatico ma intelligente, tiene l'isola in pugno con il suo tocco magico ma non esce mai dai confini della sua realtà: addestratore di cavalli, devoto ai capail uisce, innamorato dell'oceano.
Un ragazzo dai capelli scuri, magro e spigoloso. E' il primo della fila davanti al bancone, taciturno e immobile nel suo giaccone blu scuro, le braccia incrociate sul petto. Ha l'aria fuori posto e selvatica qui dentro: l'espressione dura, il bavero del giaccone alzato sulla nuca, i capelli ancora spettinati dal vento della spiaggia. Non guarda nessuno in particolare: tiene gli occhi bassi, con la mente ovviamente lontana, lontanissima dalla macelleria. Tutti gli altri sgomitano e spingono, ma nessuno spinge lui, pur senza evitarlo di proposito. E' come se non si trovasse nello stesso luogo di noialtri.
L'ho adorato, esattamente come ho adorato tutti i personaggi maschili creati dalla Stiefvater. E' speciale pur essendo anonimo e silenzioso, senza di lui niente avrebbe la stessa intensità.
E poi abbiamo Kate Connolly, per gli amici Puck, ancora più incivile e selvatica di Sean. Io e lei abbiamo avuto dei momenti di tensione ma, alla fine, ho imparato a convivere con il suo carattere spigoloso e con la sua lingua tagliente. Di buono in lei c'è la sua tenacia, il suo coraggio, il suo essere intera nonostante le privazioni e i dolori, la sua passione per l'isola, il suo affetto per la cavalla Dove e l'ingenuità con la quale affronta l'abbandono del fratello, le cattiverie degli altri cavalieri e l'attrazione verso l'incomprensibile Sean.
Non si può riassumere la trama in poche righe, nonostante sia semplice e lineare, perché l'essenza stessa della storia, della corsa, dei cavalli d'acqua viene diluita in tutte e 450 pagine e non c'è una sola frase che non serva a rendere chiara, unica e speciale questa storia.
Non è un romanzo per chi cerca soddisfazione facile e immediata, per chi si aspetta un romanticismo sfacciato e grossolano, per chi apprezza un libro che dice tutto, mostra tutto, e che si conforma ai generi senza uscire dai bordi.
La corsa delle onde è tutto l'opposto ed è perfetto in ogni sua parte. Io l'ho adorato, ma mi rendo conto di essere una stranezza nel mondo dei lettori. 

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