31 gennaio 2022

Valentina D'Urbano
Tre gocce d'acqua

Trama
Mondadori
pag. 372 | € 19,00
Celeste e Nadir non sono fratelli, non sono nemmeno parenti, non hanno una goccia di sangue in comune, eppure sono i due punti estremi di un'equazione che li lega indissolubilmente. A tenerli uniti è Pietro, fratello dell'una da parte di padre e dell'altro da parte di madre. Pietro, più grande di loro di quasi dieci anni, si divide tra le due famiglie ed entrambi i fratellini stravedono per lui. Celeste è con lui quando cade per la prima volta e, con un innocuo saltello dallo scivolo, si frattura un piede. Pochi mesi dopo è la volta di due dita, e poi di un polso. A otto anni scopre così di avere una rara malattia genetica che rende le sue ossa fragili come vetro: un piccolo urto, uno spigolo, persino un abbraccio troppo stretto sono sufficienti a spezzarla. Ma a sconvolgere la sua infanzia sta per arrivare una seconda calamità: l'incontro con Nadir, il fratello di suo fratello, che finora per lei è stato solo un nome, uno sconosciuto. Nadir è brutto, ruvido, indomabile, ha durezze che sembrano fatte apposta per ferirla. Tra i due bambini si scatena una gelosia feroce, una gara selvaggia per conquistare l'amore del fratello, che preso com'è dai suoi studi e dalla politica riserva loro un affetto distratto. Celeste capisce subito che Nadir è una minaccia, ma non può immaginare che quell'ostilità, crescendo, si trasformerà in una strana forma di attrazione e dipendenza reciproca, un legame vischioso e inconfessabile che dominerà le loro vite per i venticinque anni successivi. E quando Pietro, il loro primo amore, l'asse attorno a cui le loro vite continuano a ruotare, parte per uno dei suoi viaggi in Siria e scompare, la precaria architettura del loro rapporto rischia di crollare una volta per tutte. Al suo settimo romanzo, Valentina D'Urbano si conferma un talento purissimo e plastico, capace di calare i suoi personaggi in un'attualità complessa e contraddittoria, di indagare la fragilità e la resilienza dei corpi e l'invincibilità di certi legami, talmente speciali e clandestini da sfuggire a ogni definizione. Come quello tra Celeste e Nadir, che per la lingua italiana non sono niente, eppure in questa storia sono tutto.
Le parole creano recinti, corde, un cappio che non stringe ma resta lì a segarti il collo per tutta la vita. Allora meglio così, dimenticarsene, lasciar perdere, semplificare le cose e fingerci normali.
Commento
Sto scrivendo la rece che è il 24 di Gennaio (il mio compleanno) e ho letto questo romanzo nella settimana di Natale.
Capite subito che c'è qualcosa di strano, no? Prima di tutto non è normale volersi far del male prima di Natale, leggere e piangere la Vigilia mentre sono tutti pucciosi e tu sei sul divano con il booster in corpo e dondoli con il libro in mano. Secondo mi ci è voluto tutto questo tempo per sedermi davanti al pc e dire ok, è arrivato il tuo momento.
Io non so perché avevo abbassato la guardia con la D'Urbano, forse perché il suo ultimo romanzo non è che mi avesse perforato cuore e polmoni al punto da ritrarmi in un guscio protettivo al suono del nuovo romanzo, e invece avrei dovuto immaginare che la bordata sarebbe arrivata forte.
E' sempre un dolce soffrire, s'intende, perché se l'angst è il pane letterario che mi serve per vivere, e allora con lei ci vado a nozze e ci sguazzo, eppure fa male lo stesso e ti chiedi ma perché? Perché sono masochista? La risposta l'ho già data, la D'Urbano è maestra nel farti entrare nella storia e nei personaggi in modo ossessivo, ti ci fa calare dentro e penare fino a farti girare in testa certe cose e sei costretto a prendere le distanze perché ti è venuta la gastrite. A me lei piace, piace come scrive e cosa scrive, piace che voglia sempre tirare fuori il peggio di tutti senza mettere nessuno sul piedistallo, e mi piace che anche quando un personaggio è idolatrato, ha sempre una crepa che un po' te lo fa odiare.
E qui io metto subito l'avviso che non baderò allo spoiler, tiro fuori tutto.
Questo romanzo è la storia di tre fratelli, ma i legami familiari di sangue e quelli acquisiti rendono le cose più complesse e contorte. Abbiamo Celeste, figlia unica, suo papà ha avuto un figlio, Pietro, con la prima compagna che, a sua volta, ha poi avuto un figlio, Nadir, con un altro uomo.
Celeste, Pietro, Nadir, un triangolo che ha tutto un suo meccanismo, che è a se stante, nessuno entra e nessuno esce, le connessioni molto più che un semplice termine che richiama legami familiari reali o ipotetici.
Nel triangolo è Pietro il centro, il nucleo, l'elemento attrattore che tiene in piedi la struttura: Celeste e Pietro, Nadir e Pietro, due sottogruppi di un un unico gruppo dove il terzo, Celeste e Nadir, è fatto di opposti che si respingono in modo feroce e violento, salvo poi trovare un piccolo punto di attrazione che fa scattare ogni allarme e genera tutta una serie di sofferenze che si rincorrono a ciclo infinito.
Dei tre, Pietro è il maggiore, quello che distribuisce le sue attenzioni svogliate ai due fratelli minori e che non vede il gioco di antagonismo che i due hanno iniziato fin da subito: Celeste e Nadir si contendono l'affetto del fratello, nella loro ignoranza di bambini pensano che non ce ne sia per entrambi e per questo fanno a gara e si detestano visceralmente, senza risparmiarsi colpi e ferite.
Sotto a questo odio feroce entrambi provano un'incredibile attrazione. Non limitiamoci a pensare alla solita attrazione carnale, perché la storia inizia da quando sono bambini. La loro è una connessione talmente profonda, sotterranea, oscura, che nessuno dei due vuole riconoscerne l'esistenza: sono fratelli, perché sono fratelli di Pietro, ma allo stesso tempo non hanno nessun legame di sangue.
Con il passare degli anni si susseguono tutta una serie di situazioni che portano in superficie rancori, passioni e la volontà di ferire, e la D'Urbano non risparmia niente, scende nei dettagli al punto che pensi di non voler leggere cosa sta per accadere, ma lo fai perché devi sapere, deve sentire, e devi andare avanti perché vuoi lasciarti alle spalle quel momento. Poi arriva la bordata, perché se pensi che i tira e molla di Celeste e Nadir che lasciano scie di sangue nascoste siano la cosa più dolorosa, sappi che qui l'autrice ci gioca lo stesso scherzetto di Il rumore dei tuoi passi: la morte, inevitabile, presentata subito per darti uno schiaffo e poi ripresa in modo lento, in un crescendo che dura anni e che corre verso il destino prestabilito, senza scampo. Attorno a questo momento girano gli eventi del piano temporale della narrazione, si fermano i ricordi e si torna al presente, perché per Celeste il passato si sta ripetendo e i dolori del corpo e quelli dell'anima si stanno fondendo ancora una volta e ancora di più.
Non sto a dire molto altro, se non che qua la D'Urbano fa soffrire in un modo tutto nuovo, confinato in un triangolo che non lascia spazio a molto altro ed è un bellissimo soffrire.
Ovviamente lo stile è sempre lo stesso, un cecchino preciso che sa dove colpire come farlo, ma che sa anche come accarezzare la ferita per farti morire con il sorriso sulle labbra. C'è anche un elemento che rende le cose più tese ma interessanti, ed è la malattia di Celeste e di come influenzi non solo la sua vita ma anche i rapporti con le persone vicine, con lo spazio, con il tempo. Il suo è un nemico interno, è il suo stesso essere che gioca contro di lei e quando persino un passo diventa un rischio, allora esce fuori la personalità di Celeste, una resilienza rabbiosa che la mette a forza sullo stesso piano degli altri perché non sono le azioni, non sono solo le esperienze a formarti, ma il modo in cui ribalzi dai colpi che ti arrivano. Celeste non è un personaggio positivo nella sua interezza, ha molti pregi e molti difetti, cade in comportamenti e meccanismi negativi che funzionano al momento come scudi ma poi le si ritorcono contro, il suo bozzolo è duro, ma pieno di crepe e un personaggio come Nadir ci si infiltra con il ghigno in faccia perché è così: di uno sgradevole affascinante, di una crudeltà ammaliante, un aguzzino che adori perché non hai scelta, il legame che li unisce non è frutto di volontà ma di un cordone invisibile e indistruttibile. Persino quando Pietro muore questo cordone rimane, un po' sfilacciato e fragile, ma rimane e, ritirandosi, avvicina Celeste e Nadir verso un finale che è stranamente positivo, stranamente gentile dopo tutte le cattiverie che si sono lanciati contro.
La D'Urbano è veramente brava, è una scrittrice che ami o odi, è impossibile rimanere indifferenti di fronte alla sua capacità di rendere reali le sue storie e i suoi personaggi. Giuro che non abbasserò più la guardia, la prossima volta semplicemente mi buttero nell'oceano di angst con il sorriso sulle labbra, un pacchetto di fazzoletti in una mano e un pacchetto di patatine nell'altra.

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