30 settembre 2019

Mikael Niemi
Cucinare un orso

Titolo originale Koka björn

Trama
Iperborea
pag. 480 | € 19,00

Lars Levi Laestadius è un carismatico pastore di origini sami, esperto botanico e fondatore di un movimento religioso revivalista che a metà ’800 si diffonde a macchia d’olio tra la gente del Tornedal, nell’estremo Nord della Svezia e della Finlandia. Jussi è il suo fedele compagno e discepolo, un ragazzo sami che Laestadius ha adottato, salvandolo dalla miseria e insegnandogli tutto sulle piante e sulla natura (ma anche a leggere, scrivere e, non meno importante, ad amare e temere Dio). Nell’estate del 1852 nel villaggio di Kengis, Jussi e il pastore sono chiamati d’urgenza da una famiglia di contadini della zona perché una ragazza che badava alle mucche è scomparsa nella foresta. Pochi giorni dopo viene ritrovata uccisa e la gente del posto subito sospetta di un orso. Lo sceriffo Brahe è pronto a offrire una ricompensa per catturare l’animale, ma il predicatore trova altre tracce che indicano un assassino assai peggiore ancora in libertà, e insieme a Jussi s’improvvisa detective, ignaro del male che lentamente si sta avvicinando a lui e che minaccia di distruggere la sua azione di rinnovamento spirituale.
D'inverno i miei sci solcano morbidi cieli di neve, volando a un paio di cubiti dal terreno, e a primavera tutte le mie impronte si sciolgono. L'uomo può vivere così, senza saccheggiare o distruggere. Senza esistere davvero. Semplicemente come il bosco, come il fogliame estivo e lo strame autunnale, come la neve d'inverno e le distese di boccioli che a primavera si schiudono al sole. Quando alla fine scompare è come se non fosse mai esistito.

Commento
Chiunque abbia deciso in casa Iperborea di cambiare il modello del formato dei loro libri si merita un premio, secondo me. E' da anni che in libreria teniamo le edizioni Iperborea ma solo adesso, con la nuova grafica e la nuova impaginazione più morbida, ho cominciato ad apprezzare le loro pubblicazioni. Il vecchio formato, per quanto fosse comunque molto bello, era impossibile da tenere aperto con una mano sola e io, che sono fondamentalmente una lettrice capricciosa, se faccio fatica a tenere aperto un libro mi parte il nervoso e mollo tutto. Ma ora che ho in mano questa edizione non riesco a smettere di aprirla, tocchicciarla, stropicciarla.
Ho comprato Cucinare un orso  durante un attacco di shopping compulsivo pre-ferie, quando si entra nel tunnel senza fine del voler comprare libri da leggere in vacanza, approfittando di un buono da scaricare che mi ha permesso di pescare romanzi a caso solo perché la trama mi attirava.
Proprio sulla scia di questo entusiasmo stagionale e grazie al suo formato compatto e leggero me lo sono portato in vacanza. Ho iniziato a leggerlo mentre ero in montagna - il luogo perfetto direi - e l'ho finito mentre ero in spiaggia. Cucinare un orso è un sopravvissuto all'esperienza di lettura più vera dell'anno - fino ad ora. Porta su di sé i segni delle mie vacanze, ha dentro i fiori raccolti in montagna e la sabbia del mare, ha le ditate di crema solare e le macchie di clorofilla sulla copertina. L'ho consumato, me lo sono goduto e si vede.
Quando penso a questo romanzo è come se il mio cervello si prendesse un lungo e profondo respiro rigenerante, è come se fosse stato in debito di ossigeno e se ne fosse reso conto solo in quel momento.
Con il romanzo di Niemi il mio blocco del lettore si è dissolto e non si è più fatto rivedere, e sto tenendo caro questo romanzo, brandendolo come talismano quando mi prende lo sconforto e mi passa la voglia di leggere. Il potere curativo di un romanzo, per me, si misura in questo modo. Forse è stata una scelta fortunata in un catalogo ricchissimo come quello di Iperborea, forse semplicemente era il tipo di storia che avevo bisogno di leggere in un momento di totale relax, fatto sta che le circostanze hanno reso possibile un'immersione totale nella lettura, senza fretta, con i suoi ritmi, dalla quale sono uscita solo quando la storia ha messo la parola fine.
In genere non sono una sentimentale, anche perché tenendo presente le mie scelte letterarie è raro che incappi in qualcosa di veramente bello (non solo a livello di trama, ma proprio di scrittura, di contenuti e di sensazioni), questa volta però bisogna essere obiettivi e avere l'umiltà di riconoscere le proprie carenze. Ho letto tanta fuffa nella mia vita ma per fortuna non ho ancora perso la capacità di apprezzare la narrativa vera e Cucinare un orso è indubbiamente membro di questa categoria.
La storia ruota attorno alla figura storica di Laestadius, pastore sami che ha dato origine al risveglio spirituale svedese ed esperto botanico, che è anche il protagonista della narrazione ma non della storia, da lui e con lui prendono il via diversi ragionamenti che si ramificano nella trama del romanzo e che inseguono gli eventi al centro del libro. Il giallo, che da un certo punto di vista inserisce il romanzo in questa categoria, è piuttosto semplice e lineare. Una serie di omicidi brutali semina il panico e il sospetto nella popolazione locale, scatenando un'ondata di violenza che trova il colpevole nell'orso del titolo poi, tragicamente, in una persona in carne e ossa.
Laestadius si affianca ad un altro personaggio totalmente opposto a lui: il giovane Jussi, lappone noaidi orfano e illetterato, costretto ai margini della società dalla povertà e dal disprezzo delle persone. I due sono quasi inseparabili, Jussi è allievo del pastore e, nonostante venga considerato uno di famiglia, rimane sempre in disparte perché convinto di non essere degno. I due personaggi funzionano insieme proprio perché sono agli opposti, da un lato abbiamo Laestadius che con altruismo e generosità vuole fornire a Jussi tutti gli strumenti possibili per elevarsi, insegnandoli la botanica, la scrittura, la lettura, la religione, mentre dall'altra abbiamo Jussi che è un recipiente che assorbe tutta la conoscenza possibile e che permette al lettore di entrare nel romanzo proprio attraverso i suoi occhi. C'è un'onestà brutale nel descrivere la vita rurale del periodo ma soprattutto quella di Jussi, le sue origini, la sua orribile famiglia, le condizioni igieniche che lo hanno costretto a scappare, e poi la sua vita ai margini della società desiderando una compagnia che forse non avrà mai, un continuo gioire delle piccole cose e un continuo aspettarsi il peggio da tutti. Laestadius proietta una luce forte su Jussi e su tutta la storia, perché è lui a tentare di dipanare la matassa degli omicidi, arrivando a trovare il colpevole ma - in un momento di realismo doloroso - rimanendo impotente di fronte allo svolgersi degli eventi.
Il pregio di questo romanzo è che rimane sempre alla portata del lettore e, nonostante abbia dei momenti di narrazione veramente alti, la storia non è mai incomprensibile così come i personaggi rimangono trasparenti e cristallini. Non c'è niente di contorto in questa storia, è un giallo molto comune con uno sviluppo lineare con un colpo di scena non prevedibile, ma è soprattutto un romanzo di lotta spirituale e di lotta per la giustizia. Gli insegnamenti di Laestadius sono grezzi, semplici ma forse per questo raggiungono la meta con una precisione disarmante.
Le parole scritte sono importanti, ma pensa a cosa succede quando le mettiamo in bocca! Dobbiamo triturarle fino a ridurle in cocci, masticarle finché non diventano morbide come il fango, e poi dar loro forma con le corde vocali e le labbra. Solo allora acquistano veramente forza!
Secondo me è chiaro perché questo romanzo mi ha colpita in modo particolare, non si è focalizzato su una trama contorta, si è limitato a raccontare la sua storia e ha dato una spinta maggiore nel lasciare un segno nella mente del lettore, come se l'autore si fosse prefissato di spargere tanti spunti di riflessione nella storia.
Oltre al giallo, al mistero da risolvere, al risveglio spirituale, alla giustizia, al percorso personale dei singoli personaggi c'è così tanto da imparare in questo romanzo: è come un quadro pieno di dettagli che si notano solo guardandolo da vicino; l'impressione generale è di un panorama semplice ma bellissimo, ma se solo ci si avvicina si vedono mille piccoli elementi che sfuggono ad uno sguardo superficiale.
Molto probabilmente metterò in lista di lettura altri romanzi di questo autore, ma di sicuro questo nuovo formato di Iperborea è diventato uno dei miei preferiti e non vedo l'ora di prenderne in mano un altro e godermelo come ho fatto con Cucinare un orso.

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