15 gennaio 2015

Thomas Hardy
Nel bosco

Titolo originale The Woodlanders

Trama
Fazi | pag. 441 | € 9,50
Fin dove possiamo vedere la nostra felicità? Fino a che punto possiamo conoscerla? Nel bosco (The Woodlanders, 1887) è forse il più struggente tra i romanzi di Hardy per intensità espressiva e sentimentale. Hardy contrappone con maestria due modelli di vita: l'esistenza semplice e dignitosa dei boscaioli e dei contadini e quella raffinata e artificiosa dei personaggi di alto lignaggio.
Il contrasto è inevitabile ma profondo: e la giovane Grace, la protagonista, è il punto di luce e di improvviso ardore tra gli uni e gli altri, tra la felicità e la disperazione. L'opera non si risolve comunque in una parabola morale intorno ai limiti delle nostre scelte.
Possiede il fascino della maggiore letteratura dell'Ottocento: la grazia di uno stile acuto e piacevole, la forza di un'eccezionale tensione narrativa.
Quando molti occhi si infrangono come onde su un volto solo, finiscono quasi con l'esaurire la sua mutevolezza; ma nelle acque immote della solitudine ogni singola emozione del corpo e dello spirito fiorisce rigogliosa, e anche un estraneo può interpretarla con chiarezza, come un libro aperto.
Commento
Life sucks.
Se Hardy avesse la mia età direbbe che la vita è uno schifo. E avrebbe ragione da vendere. Non sempre si ottiene ciò che si vuole e quasi mai la vita gira come dovrebbe.
Per esempio, per più di un anno ho curato questo titolo nella speranza che venisse ristampato e tornasse ad essere disponibile. Poi, un bel giorno, eccolo. Ovviamente, fissata come sono con Hardy, l'ho preso in un raptus tale che se ci metteva solo un giorno di più ad arrivare mi sarei tagliata le vene e ora, che mi ritrovo qui a parlarne, mi sento un po' in colpa perché è nuovamente esaurito. Quindi, se a qualcuno venisse voglia di leggerlo dopo il mio sproloquio, penserà che - in pieno stile hardiano - la vita fa schifo.
Thomas Hardy si è guadagnato un posto d'onore nella mia libreria, a fianco della mia paladina Anne Rice, e non credo che lo sposterò tanto presto o addirittura mai. Insomma, quando si trova l'autore della propria anima come si può nasconderlo o abbandonarlo, anche se si ha letto tutta la sua produzione e non lo si rileggerà mai?
Hardy è così terribilmente moderno, pur essendo un autore tardo vittoriano, ed è padrone di un pessimismo quasi divertito - altro che il nostro deprimentissimo Leopardi - che rappresenta alla perfezione ciò che io penso della vita nel senso più ampio e universale del termine.
Come sua abitudine, Hardy ambienta Nel bosco in un paesaggio bucolico immerso in una foresta fitta, rigogliosa e padrona della terra su cui cresce. Gli uomini e le loro case, le attività, le intere esistenze sono talmente dipendenti dal bosco che non si può scinderli: ognuno dei personaggi creati da Hardy è solo una creatura tra le tante che popolano il verde e, come tali, non possono esistere al di fuori di questa piccola porzione immaginaria di Inghilterra.
Il romanzo si basa su un triangolo, anche se questo è - per fortuna - privo della malizia e dei sotterfugi di cui ogni triangolo amoroso si nutre. Giles, Grace e Edgar si girano attorno, a volte consapevolmente, a volte no, dall'inizio alla fine del romanzo e la storia stessa si nutre delle vicende dei tre.
Fino ad ora, tra tutti i romanzi di Hardy che ho letto, ho incontrato solo un solo personaggio maschile che non mi ha colpita mentre di tutti gli altri - e intendo tutti - me ne sono innamorata di un amore platonico e idealizzato, che solo un personaggio letterario può suscitare.
Egli aveva l'aspetto e il profumo dell'autunno, con il viso del color del grano, bruciato dal sole, gli occhi azzurri come il fiordaliso, le maniche e i calzoni macchiati dagli schizzi della frutta, le mani appiccicose per il succo di mele, il cappello spruzzato di semi; ogni cosa di lui sapeva del sidro, dell'atmosfera di quella stagione che ogni anno, al suo arrivo, esercita un fascino indescrivibile su tutti coloro che sono nati e cresciuti tra i frutteti.
Giles Winterborne - anche il nome è così poeticamente evocativo che si sospira al solo leggerlo - è l'elemento debole del triangolo, è la vittima, il puro di cuore, è il personaggio che risente della sua estrazione sociale e che non godrà mai appieno dei suoi sentimenti. Fin da piccolo Giles e Grace sono promessi sposi in base alla decisione del padre di lei che Giles - figlio di un suo amico - potesse redimere le sue colpe nel momento in cui fosse entrato in famiglia, risalendo di qualche gradino la scala sociale e godendo della bellezza e della cultura di Grace. 
Umile di natura e con un cuore genuino, Giles aspetta praticamente per tutta la sua vita, sopportando i continui alti e bassi, l'incertezza del suo futuro e della coronazione del suo amore. Perché in mezzo a tutto questo Giles è onestamente innamorato di Grace e non per la sua educazione o per il suo comportamento da lady, ma perché Grace è parte di una vita che Giles vive, l'unica che conosce e l'unica che conoscerà mai. Ben consapevole delle sue mancanze, Giles è un eroe silenzioso, si tira indietro perché sa quand'è la cosa giusta da fare e lascia che la vita - nella sua crudeltà - lo calpesti. E' nell'ordine naturale delle cose seguire un destino che non si può controllare, così Giles viene sballottato in una serie di alti e bassi emotivi che lo logorano ma che non cambiano la sostanza del suo carattere. Solo alla fine il suo personaggio diventerà un eroe - idealizzato, ma pur sempre un eroe - in una chiusura che si ricollega all'apertura del romanzo.
Anche se Hardy è abile nel maltrattare i suoi personaggi, soprattutto quelli buoni, spesso è ancora più crudele con le sue eroine, donne vittime delle regole di una società che le considera solo come carne da matrimonio e poco altro. Grace, invece, gode dell'amore e del sostengo della famiglia che la vuole acculturata e pronta per una scalata sociale che è difficile, crudele e per niente compassionevole. Così, dall'essere una felice ragazza di campagna di buona famiglia, Grace si trasforma in una lady dalle aspirazioni troppo alte, troppo di classe, troppo fredde, che si vergogna e un po' disprezza le persone che le ricordano le sue origini. Verrebbe da dire che se l'è cercata, eppure quando Grace sposa il dottore - un personaggio terribile ma anche divertente - non si può rimanere indifferenti: un matrimonio infelice, freddo, dove manca l'amore ma soprattutto il rispetto, intrappola la povera Grace che, in fretta, si rende conto che il prestigio sociale non porta anche felicità.
Il dottore, che dovrebbe essere il cattivo, vacilla tra l'essere una macchietta - personaggio ridicolizzato per certi suoi comportamenti -, un aguzzino per l'infelicità di Grace e un ostacolo insormontabile alla felicità di Giles e Grace; eppure anche lui, come tutti, è vittima della perfidia di Hardy e paga con gli interessi lo scotto per le sue azioni - quelle compiute e non.
Insomma, in un certo senso non c'è lieto fine perché la vita raramente regala il finale fantastico, perfetto, felice. Il più delle volte le persone muoiono ben prima di conoscere la vera felicità, di vedersi realizzati o di assaporare il trasporto di un amore corrisposto, e Hardy questo lo sa bene, come sa che i suoi personaggi - umili, semplici, reali - sono perfetti per rappresentare questa filosofia di vita.
Ad ogni romanzo di Hardy che leggo mi convinco sempre di più che certi autori - o autrici (una tra tutte la Austen) - considerati pilastri dei classici inglesi sono terribilmente sopravalutati, mentre lui - che è genuino e ha uno stile magnifico - viene lasciato nello sgabuzzino come un vecchio autore polveroso indegno di essere divorato. Per me Hardy è un maestro, è uno scrittore abile, profondo, e - anche se i suoi romanzi non si discostano per temi e trame - riesce sempre, sempre a trasformare una storia semplice in un'epica avventura umana.
Quando Winterborne sistemava le radici di un alberello, le sue dita avevano il tocco delicato del prestigiatore; la sua era come una carezza, sotto alla quale tutte quelle fibre si sistemavano nella direzione più opportuna per crescere meglio. [...] "Come mai sospirano appena li mettiamo dritti, e invece quando sono in terra non lo fanno?", chiese Marty. "Davvero?", disse Giles, "non me n'ero accorto." Ella prese uno dei pini più piccoli e lo tirò su; poi sollevò un dito: e allora cominciò quel sospiro delicato, simile a una melodia, che sarebbe continuato giorno e notte, senza mai fermarsi, finché l'albero adulto non fosse stato abbattuto - il che, probabilmente, sarebbe accaduto molto tempo dopo la morte dei suoi piantatori.

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