16 novembre 2020

Kyung-Sook Shin
La danzatrice di Seul

Titolo originale 이진 1

Trama
Piemme
pag. 432 | € 19,00
Seul, 1890. È solo una bambina orfana, Yi Jin, quando arriva come serva alla corte Joseon, ma c'è qualcosa in lei che smuove il cuore della regina. È per questo, per la sua fragilità di uccellino e la delicatezza del suo viso, che diventa oggetto di un amore quasi materno, e le viene concesso il privilegio di imparare una delle arti più amate a corte, la danza. Negli anni, Yi Jin diventa la danzatrice più apprezzata e famosa di tutta la Corea: con ogni movimento del corpo sembra in grado di compiere una magia. Quando un diplomatico francese visita la corte - sono gli ultimi, fulgidi anni della dinastia Joseon, che di lì a poco l'invasione giapponese avrebbe spazzato via - osserva rapito la magnificenza di questa cultura al culmine del suo splendore. E, vedendo Yi Jin che interpreta la Danza dell'oriolo a Primavera, resta inevitabilmente stregato: pur sapendo che le danzatrici appartengono alla corte, chiederà al re di portarla con sé in Francia e sposarla. Il permesso è accordato, e per Yi Jin comincia un viaggio incredibile: quello della prima donna coreana che abbia mai messo piede sul suolo europeo. Yi Jin conoscerà Parigi nel pieno della Belle Epoque, ma si scontrerà anche con una cultura completamente diversa, che non riuscirà mai a vedere in lei altro che un'esotica meraviglia...
Ma il cuore umano quando ha uno stagno desidera un ruscello, e quando ha un ruscello desidera un fiume, e quando ha un fiume desidera l'oceano. E' nella natura umana starsene davanti al mare e pensare che non contenga abbastanza acqua.
Commento
Nel tentativo di ritornare ad un mindset orientato a una narrativa di genere più tradizionale ho tirato fuori dalla mia pila uno dei romanzi che avevo salvato dal trasloco del negozio ormai quasi due anni fa. E' chiara come il sole la motivazione che mi ha spinta a portarmi a casa questo libro, non lo nego e non lo nascondo, la Corea storica è un argomento che secondo me non ha abbastanza spazio nel mondo della letteratura - quella di mainstream - e quindi è sempre un'ottima opportunità quella di approfondire un pochino l'argomento, con il pro di abbassare la pila dei tbr.
Diciamo subito la motivazione principale che mi ha fatto dare un voto medio: io non sono una grande appassionata di narrativa non di genere, nel senso che i romanzi che non sanno né di carne né di pesce tendono a venirmi spesso a noia, e il loro essere così sfuggenti e leggeri ha sicuramente il pregio di essere letture semplici ma, per me, sono anche quelle che lasciano poco. La danzatrice di Seoul è uno di quei romanzi che si pone nel genere degli storici ma che se ne frega alla grande e segue uno schema e un filo narrativo tutto suo, perché l'autrice è interessata più a raccontare la storia di un personaggio piuttosto che ricreare un periodo storico ben preciso. Usi e costumi qui ci sono ma sono impalpabili, non ci sono contestualizzazioni o spiegoni, c'è il minimo sindacale che serve a dare un senso al momento, mentre il resto scorre in secondo piano per non distogliere l'attenzione del lettore. Sicuramente c'è un pubblico che apprezza questo essere storico senza l'immersione improvvisa e totalizzante, ma c'è anche chi come me necessita di qualcosa di più e qui non l'ho avuto perché l'autrice si concentra sui suoi protagonisti. Se si pensa di poter capire e uscire con una conoscenza degli usi e costumi della Corea della fine epoca Joseon non si può rimanerne un po' delusi. La storia scorre in sottofondo velocissima e sottointesa, alcuni episodi importanti vengono riportati esclusivamente dal punto di vista della protagonista e sono inevitabilmente filtrati dal filtro della fiction per dare un risalto maggiore a ciò che serve per raccontare la storia del singolo. A me va anche bene, ma dopo un po' ho bisogno di altro, ho bisogno di un dettaglio maggiore per potermi infilare sul serio nella trama altrimenti ne esco che non ho assaggiato niente, ho solo seguito una storia inventata su un personaggio realmente esistito. La Kyung, nella lunga post fazione, chiarisce subito l'obiettivo e l'ispirazione del romanzo e questo me l'ha fatta apprezzare, eppure questo - mi si passi il termine - disinteresse per raccontare la storia a favore di una fantasia non corrisponde alla mia idea di romanzo storico.
Detto questo parliamo della trama. La protagonista è Yi Jin, una piccola orfana che viene portata a palazzo per il suo bel visino e che cattura subito il favore della regina che la coccola come se fosse figlia sua. Con il passare degli anni Yi Jin diventa una bellissima giovane e la migliore ballerina di corte, ma è anche parte della schiera di dame di corte, in sostanza una quantità di donne presenti a palazzo ad uso del Re. La Regina, una donna paranoica e calcolatrice, per evitare che il Re prenda Jin tra le sue favorite rovinando così il rapporto tra le due donne, allontana Jin con un escamotoge diplomatico: mandare Jin all'ambasciata francese per assicurarsi il favore dell'ambasciatore invaghito di Jin e allontanare la ragazza dagli occhi del re. Jin si ritrova impotente incastrata tra le regole e l'etichetta di corte, impossibilitata a fare altro che seguire gli ordini della Regina anche se questi la sballottolano come una bambola. La fortuna di Jin è di finire nell'orbita di Victor, l'ambasciatore francese che, a dispetto di quanto si sospetta, è l'unico personaggio che le regala la libertà e che nutre per lei un amore vero. Seguendo Victor a Parigi, Jin sperimenta per la prima volta una vita libera dagli obblighi di corte, può fare quello che vuole, e per un periodo Jin splende nei salotti di Parigi. Esotica d'aspetto ma francese nei modi e nella lingua, Jin esplora e sperimenta, ma dopo qualche anno la nostalgia della Corea la fa cadere in uno stato di depressione tale che Victor, pur di farla rinsavire, rinuncia a tutto e la riporta a casa. Il ritorno di Jin non è l'inizio del lieto fine, perché il ricordo del suo paese e delle persone era diverso dalla realtà e la Corea che ritrova è terra bruciata dalle guerre tra cinesi e giapponesi e la Corte è un nido di serpi. La Regina della quale aveva un ricordo materno è ridotta ad una donna senza potere paranoica e senza alleati, il Re è un burattino nelle mani dei giapponesi e il Principe è uno sciocco che scatena il crollo della Corte. A partire da questo punto quello che si supponeva essere un finale felice si trasforma presto in una sequenza di ingiustizie e sofferenze che culminano nell'ultimo episodio che a me non è andato giù. Ho trovato la scelta di Jin non solo discutibile ma addirittura inutile, perché al di là della sofferenza al di là di cosa succede agli altri rimani tu per te stessa e ti dovrebbe bastare, quindi per me questo finale è stato senza senso. Forse è coerente con lo spirito dell'epoca, forse rispecchia davvero quello che una donna della sua posizione avrebbe fatto, ma nel contesto del romanzo sembra una scelta che non ha nessuna motivazione solida, tra tutto quello che Jin sopporta e patisce, quello mi è sembrato il problema minore. Però non è la mia storia e non è il mio romanzo quindi mi limito a non apprezzarlo e a girare pagina.
Dal punto di vista stilistico non ho assolutamente niente di negativo da dire, la prosa della Kyung si conferma essere elegante nella sua semplicità (l'ho trovata molto più scorrevole qui rispetto a Io ci sarò, che invece mi ha pesato addosso come un macigno), e si accompagna molto bene alla storia e la rende meno noiosa in quei momenti in cui ti chiedi quale sia la ragione per la quale stai leggendo dei passaggi che sembrano non avere motivo d'esistere se non quello di abbellire i buchi lasciati dalla totale assenza di Storia. Va bene così, è un chiaro esempio di come la professionalità dell'autrice abbia salvato per i capelli delle parti che in altre mani sarebbero crollate su se stesse, invece qui resistono e pare abbiano pure una loro luminosità.
Ripeto, questo genere ha un pubblico ben preciso e io di solito non mi avventuro nelle lande della fiction quindi era inevitabile che sarei arrivata alla fine con un senso di insoddisfazione ma senza nessuna vera ragione per bocciarlo del tutto. Il romanzo si fa leggere, scorre anche velocemente ed è a tratti molto affascinante, ma non mi ha dato quello che volevo e per me questo è un elemento a sfavore. Mi tengo la Kyung nell'elenco delle autrici coreane perché la trovo molto brava, ma è già il suo secondo romanzo che leggo ed entrambi non mi hanno colpita nel cuoricino. Sarà un segno? Lo scoprirò con un terzo romanzo.

Nessun commento: