22 gennaio 2015

Adele Vieri Castellano
Il canto del deserto

Trama
Leggereditore
ebook | € 4,99
1871. Sylvia, divenuta vedova dopo un disastroso matrimonio, arriva in Egitto con suo padre. Per lei è un sogno che si avvera. Finalmente vedrà i luoghi mitici che conosce solo attraverso le lettere di suo fratello Adam, che da anni collabora nelle sue spedizioni archeologiche con Lord Brokenwood, il suo amore negato dell’adolescenza, ora divenuto cieco a causa di un terribile incidente. Presto, la bellezza di Sylvia, così eterea da ricordare quella della regina Nefertiti, viene notata da Zayd Ambath, il figlio del rais. Ma lei ha altro per la testa: sta per partire per una spedizione nel deserto unica e irrinunciabile alla ricerca di quello che rimane del mitico esercito di Cambise. Solo non si aspetta che quel mare di sabbia nasconda una pericolosa minaccia, che può mettere a rischio la sua stessa vita. Toccherà a Lord Brokenwood accorrere in suo soccorso, ma l’uomo avrà bisogno di tutto il suo coraggio, e della forza dell’amore, per salvare Sylvia dalle spire del deserto.
Osservò il panorama sotto di loro e Sylvia avrebbe voluto chiedergli se vedeva con la memoria o con cuore. Aveva voglia di abbandonarsi contro di lui, respirarne l'odore, sentire sulle guance le asperità del suo volto, su cui un velo di barba era appena spuntata. Far scivolare le mani sotto la tunica per apprendere la geografia del suo corpo, confortarlo e dirgli che sarebbe stata i suoi occhi, per sempre.
Commento
La sera che ho finito di leggere Il canto del deserto mi sono svegliata alle 4.30 spaccate, in piena notte, e il mio cervello stava già scrivendo la recensione. Così, dal nulla. Invece di tornare a dormire ho elaborato la prima parte del mio commento, come se il mio cervello non potesse aspettare che mi svegliassi la mattina dopo. Non mi era mai successo prima e ammetto di essere rimasta un po' perplessa dalla mia reazione ma non dalla prepotenza del romanzo. Perché è questo, prepotente.
Prima di tutto permettetemi di aprire una parentesi, per farvi capire meglio il mio giudizio. Quando ero giovane, intorno ai 18 anni, e tutti i sogni di gloria infantili di diventare ballerina o veterinaria erano morti di morte violenta, mi ero avvicinata - per la prima volta in modo serio e adulto - alla scelta di diventare archeologa. Ero persino arrivata a scegliere l'ateneo, la specializzazione (cosa ve lo dico a fare, era egittologia!) e il piano di studi. Ma, si sa, la realtà è ben diversa dalle aspirazioni di avere un lavoro affascinante e ricco di cultura. Ora, che ho una laurea completamente diversa (e che comunque, in Italia, è riuscita a non servirmi a nulla) e che ho avuto l'occasione di conoscere ben due archeologi che fanno la fame peggio di me e sono più disillusi di me, mi limito ad assecondare la mia passione segreta per l'archeologia guardando documentari, visitando musei, e indulgendo nell'amore per le cose vecchie e polverose.
Ma, proprio perché per me l'archeologia poteva essere più di un vago interesse, tendevo sempre ad evitare di leggere romanzi che - appunto - romanzavano questo durissimo lavoro. Fino all'arrivo del nuovo romanzo di Adele Vieri Castellano.
Che io apprezzi Adele come persona e come scrittrice non mi impedisce di avere un'opinione su questo nuovo romanzo che ha oscillato pericolosamente durante tutta la lettura. Decidere per 4 foglioline è stata dura, è stato un compromesso dove hanno giocato un ruolo importantissimo la mia passione per l'archeologia e la comprensione che un autore non debba per forza scrivere sempre le stesse cose, nello stesso modo.
Se vi sembra che mi manchi l'entusiasmo, in effetti avete ragione. Mi manca l'entusiasmo che ho provato con Rufo e che ho ritrovato - anche se meno intenso - con il batavo biondo. Eppure Il canto del deserto è riuscito a trovare il modo di piacermi. Prepotente, appunto, perché insiste nel trovare il punto sensibile del lettore e, fino alla fine, non molla mai il colpo.
L'inizio del romanzo è bellissimo, fantastico, quasi magico. Unisce la tradizione del romance storico di stampo anglosassone - con ambientazioni verdi e umide, con conti e duchi, con dinastie e matrimoni di facciata - e poi si trasforma diventando rovente, esotico e prendendo tutte le sfumature del deserto. Il cambio mi ha talmente spiazzata, mi ha talmente colpita che mi sono lasciata trascinare, passiva e felice, dai personaggi che emergevano e da una trama che si è presa tutto il tempo che le serviva per uscire fuori.
A questo punto mi levo subito il pensiero di spiegare perché il mio voto è stato così difficoltoso.
Superato il primo blocco, che mi ha esaltata oltre ogni dire, ho cominciato ad arrancare incontrando blocchi che mi piacevano alternati a blocchi che - un po' - mi annoiavano. L'oscillazione di gradimento è stata una prova di forza e di costanza, non solo da parte mia ma anche da parte del romanzo stesso. Quella raccontata da Adele è una storia ricca, avventurosa, permeata di storia su due livelli (Egitto antico ed Egitto della seconda metà del 1800), dove si sovrappongo ben due storie d'amore - entrambe fantastiche - e dove si infila tra un oasi e l'altra anche qualche visione. 
Quello che mi ha messo in difficoltà è stato il tono da sussidiario che ha tolto ai miei occhi l'elemento base, quello distintivo, che rende lo stile di Adele Vieri Castellano così bello: la genuinità. Ho storto più volte il naso di fronte alle continue descrizioni - a volte forzate -, al continuo voler dipingere a toni vividi un'immagine quasi impossibile da ricreare attraverso i protagonisti principali che, al posto di essere guide silenziose, si trasformano in maestrini dal lessico altisonante e asettico. E' sicuramente giusto e necessario dare un minimo di informazione al lettore, ma è anche vero che questa deve fluire nella narrazione senza intoppare la lettura, senza pesare come un macigno.
Tuttavia mi rendo conto che con un romanzo del genere è inevitabile incappare nel tono didattico alla Alberto Angela perché è necessario alla storia: ricrea l'ambiente, i motivi, i sentimenti, serve a dare una complessità e una completezza la cui assenza, altrimenti, relegherebbe Il canto del deserto alla categoria romance storico all'acqua di rose. E possiamo dire molte cose della sciura Adele, ma non che è storicamente imprecisa.
Eppure, oltre lo strato di sabbia e spiegazioni, ho ritrovato quello stile sensoriale che tanto mi piace e ho potuto godere appieno della storia che viene raccontata, ed è questo che intendevo con prepotenza. Un romanzo che riesce a farsi strada nonostante a volte freni il lettore non può che essere forte, saldo, ben costruito e sicuro nei suoi contenuti. Superato l'effetto documentario - che può anche piacere moltissimo - non ho potuto fare a meno di godere della capacità di Adele di usare le parole come se fossero materiali: tutto diventa lussurioso, fisico, e ogni sua descrizione buca la pagina stuzzicando i sensi del lettore. La sabbia, il calore, i sapori e gli odori si mischiano e danno alla testa, ti avviluppano e ti costringono ad amare un luogo così fuori dalla nostra realtà, ricco di mistero e di storia, e ambientazione perfetta per una storia d'amore fuori dal comune.
Come mi è stato detto prima di iniziare la lettura, in Il canto del deserto c'è più romanticismo che passionalità. Vero, verissimo. L'amore qui è di testa, di sfioramenti, di odori e di sguardi. L'amore contrastato e chiuso dietro le convenzioni sociali, l'amore che si tiene nascosto e che ti accompagna negli alti e bassi. Ma, anche se la passionalità non si sfoga in lunghe e dettagliate scene d'amore, questa emerge comunque attraverso l'eroe ed è qui, in questo aspetto, che spunta fuori quello che mi piace tanto di questa scrittrice. I protagonisti sono fatti di carne e sangue, li puoi vedere come se fossero veri, li senti come se li avessi vicino e li vivi attraverso gli occhi dei personaggi.
Uno su tutti, naturalmente, Nicholas. Dotato dello stesso carisma dei personaggi maschili di Adele, è virile fino all'ultimo pelo del petto, è intelligente, è di classe ma non si fa problemi a sporcarsi le mani, a bruciarsi la pelle con il sole, a immergersi nella polvere e rischiare la vita per la sua passione. Nicholas è forse il personaggio più impastoiato di tutto il romanzo, quello che risente tantissimo dei limiti imposti dalla coerenza storica e dalla necessità di usare la sua bocca per divulgare e ricreare l'Egitto agli occhi del lettore. Quando lo leggi pensi che ti scioglieresti volentieri ai suoi piedi, che ti potrebbe portare in qualsiasi deserto dimenticato da Dio e rischiare la vita, basta che lo puoi annusare da lontano. Nicholas mantiene alto l'interesse, anche quando questo scema, e domina la storia senza il minimo sforzo, cieco o vedente che sia. Eppure sono Sylvia e Judith i due personaggi che più mi sono piaciuti: indipendenti senza essere fuori luogo, intelligenti e brillanti, mature, dirette. Lo stampo AVC è evidente e, nella loro insofferenza alla dominazione dell'uomo nella società, un po' mi hanno ricordato la mia adorata Livia e la selvaggia Ishold. 
Però, se devo essere sincera, la riuscita della coppia e della storia d'amore è sempre determinata da un insieme di cose e, in questo, la Castellano sa seguire alla perfezione lo schema del genere unendolo al suo stile così ricco ed evocativo.
E' inevitabile, quindi, dare un voto alto anche se alcuni aspetti non mi hanno sorriso. Un romanzo è diverso dagli altri, sempre, e ha cose diverse da dire e per questo è giusto saper dare il peso corretto dei lati positivi e di quelli negativi, andare oltre e cercare di apprezzare il suo contenuto che è, alla fine, ciò che rimane nella testa.
Lo consiglio? Sì, soprattutto a chi vuole un romanzo d'amore che sia veramente d'amore e che ricalchi il modello di quella narrativa di genere di alcuni anni fa, che non temeva di avere centinaia di pagine e pochissime scene di effusioni, e che vantava una base di tutto rispetto sulla quale costruire una storia spessa e appassionante. Si ritorna agli albori, in un certo senso, e di questi tempi è bene ricordare che un romance può essere più della solita storia d'amore, può essere tutto quello che vuole.

4 commenti:

lullibi ha detto...

Splendida recensione Mira, sei bravissima.

Unknown ha detto...

Non posso che essere daccordo con Lullibi... splendida recensione davvero Mira, che mi rileggerò tante e tante volte!
Un abbraccio!

Miraphora ha detto...

@Lullibi
<3 Grazie

@Adele
tu rileggi e io mangio il salame ;)

Alice Land ha detto...

Eh sì, non posso che unirmi al coro. Una recensione bellissima, precisa, accurata e ben motivata. Mi trovo d'accordo su tutto, anche se quel tono alla Alberto Angela l'avevo colto anche nei romanzi "romani". :)