11 febbraio 2013

Herman Melville
Moby Dick

Trama
Adelphi | pag. 588 | € 14,00
"Moby Dick", pubblicato nel 1851, è considerato il capolavoro di Melville e uno dei più noti libri della letteratura americana e mondiale. Vi narra in prima persona la sua avventura Ismaele, che si imbarca come marinaio assieme a un ramponiere indiano sulla baleniera Pequod. Il capitano della nave, Achab, un personaggio cupo che incute rispetto e timore nei suoi uomini, ha perso una gamba per colpa della balena bianca Moby Dick e ora vuole vendicarsene, a qualunque costo. Inizia così una lunga caccia. La snervante attesa dell'incontro con il cetaceo che sfugge al capitano offrirà al narratore l'occasione di meditazioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche, all'interno della struttura del romanzo d'avventura per mare. Intanto l'immenso oceano, con i suoi mostri e le sue profondità, si erge in tutta la propria potenza e imperscrutabilità dinanzi all'uomo, che gli può contrapporre solo una fragile esistenza, oscillante tra il bene e il male. Fino a che sopraggiunge la catastrofe finale, fatalmente presentita, quando Moby Dick distruggerà la baleniera e tutto l'equipaggio trascinando con sé Achab e il suo arpione. Solo Ismaele si salverà e potrà così raccontare la loro folle, ambiziosa quanto disperata, impresa.

Commento
Immaginate la sottoscritta, reduce da troppe letture poco impegnative, con il cervello addormentato e anestetizzato, che si imbarca nella lettura di un tomo del genere. Tragedia? No! Al contrario di quello che ho sempre pensato, Moby Dick è tutto tranne che un mattone pesante, pedante e noioso.
Prendere in mano questo romanzo significa essere consapevoli di iniziare un viaggio non solo dentro alla storia, ma dentro alla testa di un autore che ha convogliato in questa opera gran parte della sua cultura. Leggere Moby Dick è come una caccia al tesoro: le parole, le immagini e gli episodi sono indizi che portano ad un significato ben più profondo di quello che spicca per primo alla lettura.
Consigliatomi da una collega che lo ha definito 'il romanzo più bello che io abbia mai letto' e più in generale visto da molti come il migliore libro di sempre, ho deciso di buttarmi a capofitto nella lettura per due motivi: il primo legato ad una questione di rispetto personale, visto che molti capi saldi della letteratura non sono gravitati nella mia orbita di lettrice, e poi per curiosità - o per semplice spirito di avventura. Ero prontissima ad affrontare la fatica di portare a termine la lettura e devo dire che nel giro di un mese sono arrivata alla fine mantenendo sempre lo stesso ritmo e conservando la stessa voglia di continuare, di conoscere e di sapere che avevo di fronte alla prima pagina.
La cosa che mi ha lasciata spiazzata è stata la continua costruzione di suspance, alimentata superbamente dall'autore, l'ansia crescente di incontrare il famigerato mostro bianco, la balena malvagia Moby Dick. Ad ogni giro di pagina, ad ogni capitolo - non di approfondimento, ma di narrazione della vicenda - mi aspettavo di vedere la sfiatata della bestia nivea - il miracolo dei classici! ti mettono in circolo nel cervello un lessico che altrimenti non nascerebbe spontaneamente sulla tua lingua! - ma ogni volta rimanevo ammutolita di fronte al nulla di fatto. Come Achab, anche io ho bramato di vedere la sagoma bianca e rugosa all'orizzonte, volevo assistere allo scontro dei due nemici, conoscere la risoluzione finale della storia.
C'era da aspettarselo, comunque, che l'incontro occupasse la parte finale - 3 capitoli, per inciso - una manciata insulsa di pagine paragonate alla mole di oltre 500 pagine fitte fitte del libro. Mi ha spiazzata e anche un po' delusa vedere come lo scontro tra Achab e Moby Dick non fosse veramente la parte più importante del romanzo, quanto la risoluzione del viaggio del Pequod e della vita, per Achab. E' come se per l'autore l'idea, la curiosità, l'interesse e - più in generale - l'analisi del significato nascosto delle azioni dei personaggi fossero lo scheletro portante di tutto il romanzo. L'incontro dei due protagonisti è solo una parte delle tante che compongono la storia, e solamente la fine, nella quale si rispecchia.
Voltare pagina e scoprire che - porca miseria - solo Ismaele rimane dell'equipaggio del Pequod lascia di stucco. Una fine preannunciata solo per chi ha cercato la trama prima di iniziare la lettura (praticamente ogni trama in rete riporta la fine, tra l'altro), mentre per chi ha mantenuto la propria mente libera la fine è tutto fuorché prevedibile. Certo, ci si aspetta lo scontro, ci si aspetta che o Achab o Moby Dick muoiano, ma una fine come questa - aperta, indistinta e insicura - lascia a bocca aperta e un sorriso incerto che spunta fuori appena ci si rende conto che la storia si è conclusa.
Maestoso, dal punto di vista narrativo, ricercatissimo e talmente ricco che - per forza di cose - molti collegamenti si perdono per strada: credo sia raro - per il lettore moderno - possedere una preparazione e una cultura tali da rendere possibile l'interpretazione di ogni singolo riferimento inserito dall'autore. Sapere che si potrebbe avere di più dalla lettura e che buona parte delle citazioni inserite nella narrazione vanno perse per una propria incapacità di coglierle fa sentire incredibilmente ignoranti.
Accetto di aver colto solo una minima parte del significato del romanzo e - nella mia impreparazione - lascio in sospeso il romanzo per un futuro in cui sarò - spero - pronta per rileggerlo come si deve.

2 commenti:

lullibi ha detto...

che coraggio che hai avuto!
Prima o poi, lo avrò anche io... poi, molto poi...

Miraphora ha detto...

Ma no, perché dici così? E' tutta una questione di preparazione mentale :D