24 gennaio 2012

Elizabeth Gaskell
Cranford

Trama 
Giunti | pag. 180 | € 7,50
Protagonista di Cranford è il passato che si incarna in uno sparuto gruppo di vedove e zitelle, caparbiamente arroccate nei valori della tradizione.
Sono loro la "buona società" che il romanzo segue per una decina di anni, delineandone abitudini, cerimoniali, letture, linguaggio.
Contro l'immobilità, l'autrice racconta l'assedio e la penetrazione del tempo moderno: minacciosamente vicina è la città commerciale; il treno e la mentalità capitalistica aprono falle nella mentalità preesistente e determinano situazioni, comportamenti nuovi osservati con occhio ironico dalla narratrice, che con la stessa ironia tratteggia i rapporti tra i due sessi. 





Commento
Quando ero piccina mi capitava di fissare i quadri di casa mia e immaginarmi le storie che potevano coinvolgere le persone dipinte. Se ora ne avessi di fronte uno che rappresenta un paese della campagna inglese nella mia testa partirebbe la voce fuori campo che inizia a raccontare di Cranford, un luogo fuori dal tempo dove le persone sono cristallizzate in un attimo per mai cambiare.
La Gaskell rievoca in episodi la vita di un paese, Cranford appunto, abitato principalmente da donne che sono nella maggior parte zitelle. Gli uomini non ci sono e, se ci sono, muoiono o se ne vanno. Nessuno di loro è importante, nessuno di loro ha il potere di cambiare o anche solo ravvivare la vita di queste zitelle, nemmeno i padri e i fratelli rivestono un ruolo dominante. Le donne sono il filo conduttore e dominano la storia, che poi storia non è, con la loro quotidianità. L'autrice ha volutamente trascurato la creazione di una trama portante per dare carta bianca ai personaggi, lasciando libera la storia di scorrere senza essere influenzata nemmeno dal tempo. Le mode, le invenzioni tecnologiche, il cambio delle abitudini sociali, niente riesce a scalfire la routine cranfordiana. Lo scorrere degli anni serve solo a distinguere le età delle donne di Cranford e a sottolineare come siano intoccabili e immutabili. Ferme nelle loro antiquate convinzioni, piene di regole e formalità, sono - però - di una simpatia e di una dolcezza fuori dal comune. Le vecchiette che ricordano i bei tempi passati e che non vogliono cambiare si aprono alla voce narrante, volutamente resa come una donna comune senza gusti e quasi senza emozioni, tramite uno spiraglio microscopico attraverso il quale la loro realtà è filtrata dalla narratrice gaskelliana.
Lo stile, forse, manca del brio necessario per rendere meno piatta la narrazione ma l'autrice ha saputo comunque riportare la storia con la dovuta ironia, trasformando una storia banale in un reportage divertente sulla società inglese di campagna, mantenendo sempre un tono di rispetto che non vuole insultare ma ammorbidire la rigidità della società. Per essere un romanzo del 1851 è tremendamente leggero, frizzante e in certi punti proprio comico. Spiace solo che l'autrice abbia sacrificato la profondità delle signorine cranfordiane per dare leggerezza alla storia.

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